Sono due nel giro di 24 ore gli attacchi alla minoranza sciita dell’Afghanistan che hanno ucciso oltre una trentina di persone e ne hanno ferite a decine durante la vigilia e la festa dell’Ashura, l’inizio del primo mese del calendario islamico (Muharram) e commemora la morte di Husain ibn Ali, il nipote del profeta Maometto. L’ultima strage in ordine di tempo è di ieri, con una bomba che è esplosa fuori da un tempio sciita a venti chilometri da Mazar-i-Sharif, la capitale della provincia settentrionale di Balkh.

I morti erano già saliti a 15 nel pomeriggio di ieri, mentre i feriti sono oltre una ventina. La sera prima invece è stata la volta di Kabul dove un cecchino ha ucciso almeno 18 persone, ferendone una cinquantina tra i fedeli della moschea Cart-i-Sakhi in un distretto della capitale. Tra loro c’è anche Sumaia Mohammadi, un membro del Consiglio provinciale della provincia di Daikundi, ma non era lei l’obiettivo.

La strategia, già testata dallo Stato Islamico, è colpire nel mucchio come ha già fatto in luglio, sempre a Kabul, uccidendo oltre 80 hazara (sciiti) che protestavano per un progetto governativo che li penalizzava. Daesh infatti ha rivendicato la strage di martedì notte ed è molto probabile, se non certo, che sia da attribuire ai sodali di Raqqa in Afghanistan anche il massacro di Mazar.

L’effetto degli attentati è quello di dare al presidente Ashraf Ghani, che con altri membri del governo ha partecipato ieri a una manifestazione di pubblica celebrazione dell’Ashura, la possibilità di ribadire l’unita degli afghani al di là del tipo di appartenenza religiosa e di chiedere agli ulema di entrambe le correnti – sciiti e sunniti – di unirsi contro il terrorismo. Ma è anche quello di far capire che una nuova stagione di violenza è cominciata anche se Daesh appare isolato ma comunque in grado di sparare nel mucchio e far crescere la tensione in un Paese quotidianamente vittima di un conflitto che dura ormai da oltre 35 anni.