Siamo dalle parti della canzone d’autore, ma i suoni sono gioiosamente pop pur non negando all’impatto alle asperità del rock. Possibile? Possibile se dietro i brani si nasconde il nome di Motta, livornese di nascita e un passato decisamente rock con due album registrati insieme ai pisani Criminal Jokers. E poi una serie di esperienze come turnista collaborando con Pan del Diavolo, Zen Circus, Giovanni Truppi e, soprattutto, Nada.

«È una donna – spiega- con un’esperienza incredibile ma è quello che c’è dietro le quinte a colpire. La collaborazione continua con il compagno Gerry Menzoli che è produttore artistico, lavorare con due persone così è stato bello anche perché tendono a responsabilizzarti». Arriva però un momento in cui si deve decidere se rimanere dietro le quinte o metterci la faccia, come si dice in gergo.

Motta ci prova e con il suo debutto solista La Fine dei vent’anni (su etichetta Woodworn), mette in fila dieci canzoni dove racconta se stesso, i suoi affetti, la sua famiglia. Storie messe in bella calligrafia grazie anche a un ambiente sonoro di livello, frutto dell’incontro con Riccardo Sinigallia, anche co-autore in alcuni pezzi. «Ho voluto fortemente che Riccardo lavorasse su questo disco. Stavo facendo delle prove con i Pan del diavolo, ero a Roma e tutti mi parlavano di lui, un maestro della ’scena romana’ che detto così mi intimoriva. Invece ho scoperto che lui non se la tirava affatto, gli ho spedito un pezzo – ma gliene arrivano100 ogni giorno – e ci siamo incontrati a pranzo. Gli ho fatto ascoltare due o tre provini e mi ha dato il suo ok».

Arrangiamenti eleganti ma che non alterano l’essenza dei pezzi, anzi alcune imperfezioni conferiscono calore all’intero progetto: «Forse un altro produttore mi avrebbe fatto risuonare tutto. Avevo lasciato delle scordature della chitarra fatte a casa, lui mi ha costretto a tenerle, perché vedeva le imperfezioni come una sorta di sacralità. Accettare l’errore rende tutto vivo|». Nella traccia che dà il titolo al disco i timori dei giovani, stretti fra la speranza di trovare un lavoro e la voglia di abbandonare il paese: «In realtà racconto anche l’altro, l’ansia di crescere i mutamenti. È nata a casa dei miei a Livorno. Sono alla soglia dei trent’anni e mi accorgo che qualcosa sta cambiando, mi annoio alle feste giovanili ma allo stesso tempo non mi sento ancora adatto a divertirmi con altro».

La famiglia entra prepotentemente in Mio padre era un comunista: «Uno dei testi più difficili, mio padre è stato realmente comunista. Racconto la paura, nel momento in cui hai paura di qualcosa e rimani vuol dire che la stai sconfiggendo».