«I want to spend sometimes in Mozambique» cantava Dylan e Paolo Conte gli rispondeva con «Monzambique fantasy» «its a green dream Mozambique, Mozambique…my Mozambique comes, my Mozambique dances and lives». Come doveva essere bella Maputo e tutto il paese verde e rigoglioso. Sono passati poco più di 8 mesi dal mio ritorno dal Mozambico dove sono stata a ottobre, per la prima volta nella vita, durante le elezioni presidenziali, parlamentari e amministrative, di cui ho scritto sul quotidiano Il manifesto. Questo è stato uno strano viaggio nell’infernale paradiso africano. Paradiso, perché se lo si potesse immaginare, solo all’Africa assomiglierebbe, infernale, perché sullo sfruttamento e il possesso di questo immenso Eden s’avventa, da sempre, il peggio, rarissime volte il meglio, ahimè, dell’umanità. Perché l’Africa è uno degli ultimi polmoni della terra, perché madre natura l’ha rifornita d’immense ricchezze, perché è ancora selvaggia e la vita umana non vale quasi niente. I suoi abitanti sono stati sottomessi, schiavizzati, colonizzati, indottrinati, sfruttati, spesso snaturati delle proprie tradizioni, per secoli e secoli, e poi armati fino ai denti dagli stessi paesi colonizzatori che così hanno di cercato di mantenere il controllo, tentativo impossibile, ed è, se faccio un paragone con la rivoluzione francese, relativamente pochissimo che l’Africa s’è scrollata di dosso i suoi troppi padroni. Non volendo considerare come «padrone» le multinazionali mondiali attivissime nell’intero continente.

La Storia

Il 25 giugno si celebrano 40 anni della Repubblica del Mozambico, uno degli ultimi paesi africani a raggiungere la completa indipendenza, nel 1975, dopo 10 anni di guerriglia condotta dal Frelimo (fronte di liberazione del Mozambico), quasi conseguentemente alla rivoluzione dei garofani in Portogallo, che, a quel punto, si ritirò completamente dal paese che colonizzava dal XV secolo. Una colonizzazione brutale e feroce che lascia il Mozambico con poche infrastrutture e piagato dalla miseria. Il presidente Samora Machel, leader del Frelimo, successore di Eduardo Mondlane (ucciso in un attentato in Tanzania nel 1969), si allinea politicamente all’Unione Sovietica e dà luogo a un’economia di stampo socialista, sostiene l’African National Congress, questo gli costa l’ostilità dei governi bianchi di Sudafrica, Rhodesia e Stati Uniti che finanziano e armano la Renamo (Resistenza Nazionale Mozambicana), movimento armato anticomunista anche detto dei Regoli (Capi tribù), che trascina il paese in una guerra civile durata più di 10 anni con 1.000.000 di morti. Il Frelimo è riuscito a rimanere costantemente il partito di governo anche dopo la morte di Samora Machel, ancora mai chiarita, la presidenza di Chissano, durante la guerra civile, e dopo la pace del ’92, firmata a Roma a Sant’Egidio e mediata da Don Matteo Zuppi (Vescovo ausiliario di Roma centro, tra i fondatori della Comunità di Sant’Egidio) e dall’ ex sottosegretario del governo Craxi, Raffaelli (socialista lombardiano). Pace che produsse una nuova costituzione di stampo multi-partitico, da cui fu eliminata la dicitura «marxista» presente nella precedente.

Dopo la pace. Sotto la spada di Damocle di una ripresa degli scontri continuamente minacciata.

Gli ultimi 10 anni sono stati guidati dal presidente Guebuza, figura potente e discussa, fortemente sospettato di corruzione, sostenitore della negritudine, che ha dato una svolta liberista alla politica economica del paese. Guebuza ha lasciato la presidenza della Repubblica a febbraio, e dopo forti pressioni anche la presidenza del Frelimo. Nyusi (nuovo Presidente e capo del Frelimo), ha formato un nuovo governo nel quale ha accorpato diversi ministeri, confermando alcuni vecchi ministri (sei) ma introducendo molti volti nuovi.

Capo dell’opposizione resta Dhlakama (storico leader della Renamo non ha mai riconsegnato le armi, non accetta il risultato elettorale e denuncia brogli che però non è stato in grado di provare, e prima di settembre 2014, quando ha firmato un secondo accordo di pace con Guebuza, aveva ricominciato a sparacchiare qua e là bloccando il nord del paese, adesso, dice di non volere lo scontro ma fa comunque capire che potrebbe sempre riaccendersi la scintilla. Gli italiani hanno partecipato anche questa volta al processo di pace necessario per le elezioni e lo hanno materialmente riportato a Maputo dove, dopo aver stabilito accordi e regolamenti elettorali, s’è candidato alla presidenza.

Il terzo partito MDM (Movimento Democratico Mozambicano) capeggiato da Daviz Simango (il terzo dei candidati alla presidenza) è anch’esso d’origine tribale, ma non è armato, considerato da molti membri della società civile mozambicana il possibile partito del futuro e della pace, aveva ottenuto buoni risultati nelle ultime amministrative (autarchiche) ma è rimasto in qualche modo schiacciato dal ritorno di Dhlakama che, solo col passaparola e in pochi giorni, ha raccolto migliaia di persone ai suoi comizi. I capigruppo dei 3 maggiori partiti sono: Margarina Talapa (Frelimo , ricopre lo stesso ruolo avuto nel precedente governo), Ivona Soares (per Renamo, nipote di Dhlakama), Lutero Simango (per MDM, fratello del leader Daviz Simango).

Intimidazioni

l’Africa è l’Africa e ha i suoi tempi i suoi linguaggi, i suoi riti e le sue magie, che nessun «occidente colonizzatore» è stato in grado di cancellare, le trattative segrete possono precipitare da un momento all’altro, il sangue scorre sempre facilmente in Africa perché subito viene assorbito dalla sabbia. Così il 3 marzo scorso di mattina, uscito dal bar dove abitualmente faceva colazione, è stato ucciso nel centro di Maputo Gilles Cistac, mozambicano di origine francese, costituzionalista, professore all’università Mondlane. Era stato consigliere di vari ministri, recentemente accusato su FB di essere «una spia francese» e minacciato; tutto ciò era cominciato dopo che il professore si era espresso pubblicamente, in televisione, definendo costituzionalmente accettabili le richieste della Renamo, inaccettabili per il Frelimo, di costituire delle provincie autonome nelle aree in cui aveva ottenuto la maggioranza dei voti. Si tratta di un omicidio politico, e probabilmente di un segnale per il nuovo presidente Nyusi che ha comunque intavolato un dialogo con Dhlakama, ed è riuscito a convincere i parlamentari della Renamo a prendere i loro posti in parlamento, cosa che fino all’inizio di febbraio si erano rifiutati di fare impedendo lo svolgersi dei lavori. Purtroppo, al momento, nessun tentativo è andato a buon fine, il paese è in stallo totale.

Interessi economici

Alcune delle regioni, centro-nord (Sofala, Zambezia, Tete e Nampula), che la Renamo vorrebbe governare autonomamente, tradizionalmente povere, sono al centro di mille interessi economici internazionali, uno per tutti Eni-Anadarko (Italia-Usa) che hanno scoperto il terzo (o quarto) giacimento di gas più grande del mondo, che una volta liquefatto sarà destinato al commercio con l’Asia. «Gas city», immaginata per 10.000 abitanti, centro dell’estrazione e della lavorazione del gas, sorgerà dalla foresta nel 2020. Ma l’Africa si dibatte nelle sue stesse contraddizioni, tra modernità, crescita del Pil dell’8% all’anno, e tribalismo, una popolazione giovane e bellissima (età media di 17,3 anni, mortalità infantile altissima 74.3 bambini muoiono ogni 1000) che ha una speranza di vita che non supera i 50 anni (nel Principato di Monaco è di 89 anni, in Italia di 82,3) e un potere sempre troppo corruttibile preda di debolezze dinastiche e familistiche, sulle cui basi, non bisogna dimenticarlo, si poggia, peraltro, la struttura sociale tradizionale africana. Serve stabilità. Bisogna dare tempo al tempo e il tempo africano, si sa, va per conto suo…

Noi e il Mozambico, intervista a don Matteo Zuppi

Chiediamo a don Matteo Zuppi perché il Mozambico è importante per l’Italia: «Tutta l’Africa lo è per l’Italia e per l’Europa, il Mozambico in particolare perché ha avuto con noi un rapporto intenso fin dall’indipendenza, e perché è stato l’unico accordo di pace firmato qui a Roma e l’Italia ha una responsabilità verso di loro, e anche per le opportunità economiche»

Cosa pensi accadrà?

Il futuro è incerto, spero che si scelga la via del dialogo e della dinamica parlamentare. I maggiori interrogativi sono due: all’interno del FRELIMO, sul ruolo del partito all’interno del paese e sull’autonomia del Presidente Nyusi; l’altro che Dhlakama continui a seguire la via democratica

Abbiamo ancora un ruolo di mediazione?

In senso diretto no, ma come facilitazione e come garanti senz’altro sì. Purtroppo non è stata riconfermata la missione EMOCHM che avrebbe dovuto garantire l’applicazione dell’accordo che aveva posto fine alla pericolosa ripresa di violenza da parte della RENAMO, del resto non aveva funzionato.

Cosa pensi della richiesta di autonomia di Dhlakama?

Può essere una via, ma va identificato molto bene l’equilibrio tra il necessario centralismo dello Stato, ancora debole in realtà, e le autonomie provinciali evitando che ciò dia luogo a incontrollabili divisionismi.

Riporto qui parte della dichiarazione dei Vescovi Mozambicani:

Maputo, 07.03.2015 «…si assiste alla palese ingiustizia di una maggioranza di poveri schiacciata da una minoranza arricchitasi disonestamente, che vive nel lusso; alla mancanza di trasparenza nello sfruttamento delle risorse naturali e al disprezzo totale dell’ambiente; alla sottrazione della terra agli agricoltori locali per l’attuazione di megaprogetti che favoriscono solo le multinazionali straniere e una minoranza insignificante di cittadini mozambicani; all’ambizione eccessiva dei funzionari pubblici che fanno della corruzione, del saccheggio e del riciclaggio di denaro il loro modus vivendi; all’uso della forza, dell’arroganza e dell’intolleranza per imporre le proprie idee».

Da città delle acacie a città del cemento

Eppure Maputo è una città bellissima piena di giovani accarezzata dal vento dell’oceano, i teli colorati che sventolano al sole, la sabbia fine copre il cemento ancora caldo, la marea è lunga e lascia le barche da pesca in letargo insabbiate per ore. E sulla costa cresce la «città di cemento», come viene chiamata la città delle acacie, Maputo appunto, con le sue avenida Mao Tse Dong e Karl Marx e Nyerere e Mondlane sulle quali si ergono ville circondate dai fili spinati che affacciano sul mare, e grattaceli con centri commerciali cinesi e sudafricani e anche uno, fonte di scandali, di un tale faccendiere libanese, le cui fondamenta, si mormora, sono state erette sul cemento impastato alle scorie del traffico di droga pesante; e il muro che circonda la casa del presidente sul cui marciapiede non possono camminare i comuni mortali e c’è tanto di cartello con figurina disegnata a ricordarlo: se ne vedono di divieti dipinti sui muri di tutti i tipi anche quello con l’omino e la donnina impegnati a pisciare imprigionati da una grande X, la vecchia stazione ferroviaria costruita da Eiffel, il Centro Culturale Francese, il Museo di Storia Naturale… e poi sui marciapiedi sventrati e sabbiosi ci sono i poveri che ti vendono tutto quello che possono, dalle scarpe usate agli orologi tarocchi cinesi, e gli operai che dormono stremati nella stretta ombra delle lamiere e le donne che gli vendono la minestra che scodellano, là nella strada, da enormi pentoloni, per pochi meticails, a quegli schiavi che lavorano 12 ore al giorno per un turismo di lusso che si prevede arriverà ben protetto e blindato ad usufruire delle piscine, i centri benessere e i casinò di questa nuova Beirut Australe. Nonostante l’ombra della violenza aleggi nel cielo, nonostante il mare sia tutto inquinato, e le acacie siano state divelte dai cinesi che freneticamente costruiscono strade senza corsie laterali destinate a creare ingorghi mostruosi. Ma la notte scende dolce in città e i ragazzi si muovono e danzano e danzano e sentono musica e vanno a teatro e fanno l’amore a Maputo. Le scimmie inseguono il vecchio gatto nero del campo sanitario che viene a rifugiarsi da me … le sere aperitivo di rito con una cara amica, al tramonto, di fronte all’oceano.

Arte

Ho visitato la bella e grande mostra di Naguib Abdul, importante artista mozambicano, pittore e scultore, autore del lungo mosaico sul lungomare. In una delle stanze della mostra c’è un installazione di alcuni camici di medici irrigiditi e dipinti su cui sono segnati i numeri assurdi della realtà: provincia di Maputo 1 pediatra per 1.225.489 abitanti, provincia di Zambezia 2 pediatri per 3.890.453 abitanti e così via con le stesse proporzioni per tutte le 11 provincie. Impressionante.

Il teatro

La giovane amica Timi Gaspari, trentenne antropologa, insegna all’università, e teatrante, che avevo conosciuto solo via mail in occasione del bel documentario Maputo a low budget dream di Mario Martinozzi da lei prodotto con l’associazione Luarte, di cui è membro, mi ha portato due volte a teatro e a sentire un concerto del grande Chico Antonio al bellissimo Centro Culturale Francese. Il teatro è molto vivace in Mozambico, è molto seguito, anzi direi partecipato dal pubblico che letteralmente tifa per gli attori in scena, incita, suggerisce, canta e si contiene a stento dall’invadere la scena. L’unica similarità che ho trovato con la nostra tradizione teatrale è con la sceneggiata napoletana. Gli attori sono dotati di estrema naturalezza e bravura, sanno cantare e ballare, le storie riguardano la quotidianità, sono semplici e divertenti e il pubblico eterogeneo partecipa divertendosi moltissimo.

INTERVISTA A FELIX MANBUCHO

Incontriamo Felix Manbucho, giovane attore e regista membro fondatore dell’Associazione culturale Luarte: «Il mio nome Felix Mambucho è un nome d’arte, come tutti i giovani sognatori volevo fare molte cose attore, drammaturgo, regista poi mi sono concentrato soprattutto sulla regia. Ho un progetto teatrale che si chiama «dez fogos» (gioco di parole tra sfocato e 10 fuochi) in cui prendiamo, ad esempio, 10 tematiche che dovrebbero essere importanti per i giovani, per loro prioritarie, e vedere come invece si sfocano su altre cose».

Ci sono finanziamenti pubblici per la cultura?

C’è un fondo per le arti e la cultura ma è molto scarso e deve rispondere a molte richieste, per tutte le discipline, inoltre ci sono alcuni centri culturali stranieri che finanziano (non gli italiani, non hanno fondi)

Similitudini col teatro contemporaneo europeo o americano, se ce ne sono?

Prima lavoravamo molto sull’improvvisazione corporea, sul movimento, ultimamente abbiamo cominciato a scrivere dei testi…dei canovacci … c’è questo dibattito tra fare un teatro «africano» o «internazionale» … qui i registi lavorano molto sul teatro nudo …abbiamo fatto teatro dell’oppresso, è una tecnica brasiliana: si fa un piccolo spettacolo breve che mostra un problema della comunità, generalmente un conflitto, poi a un certo punto si blocca tutto e si invita qualcuno degli spettatori a proporre una soluzione al conflitto «a mostrarla teatralmente».

Una specie di psicodramma?

Si, ma su problemi concreti …

Gli attori qui sono considerati professionisti?

Qui non c’è professionalità riconosciuta, è tutto molto disorganizzato, adesso c’è un corso di scuola superiore che rilascia un diploma in cui c’è scritto attore, che poi qui non significa nulla, perché nessuno ci vive… qui il teatro è il modo più facile per chiedere soldi per le ONG: dicono che si tratta di teatro d’informazione sociale, è un fenomeno molto diffuso, fanno piccole cose amatoriali, e questo non è sempre un bene per noi che cerchiamo un’altra qualità…

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Il  gruppo teatrale con la storia più importante é la Mutumbela Gogo, fondata da Manuela Soeiro e che risiede nel Teatro Avenida. Il direttore artistico è, credo già dagli anni ’80, Henning Mankell, lo scrittore svedese, il quale ha scritto e diretto molti spettacoli per la Mutumbela. Ci sono o ci sono stati altri buoni gruppi di teatro: Mbeu, Girassol, Galaga azul, Luarte, Gungu… gli autori che sono molto usati per spettacoli di teatro sono: Mia Couto, Luis Bernardo Honwana e Paulina Chiziane.

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Intervista a Domenico Liuzzi fondatore di Kulima

Domenico Liuzzi mi accoglie nel suo studio pieno di arte Makonde, sculture tradizionali, a volte grandi come interi tronchi, che riproducono i riti, i sogni e gli incubi, e le tradizioni del popolo Makonde. «Kulima, dice, è una ONG completamente mozambicana, lavoriamo soprattutto nello sviluppo rurale, abbiamo licenza di credito, partecipiamo ai concorsi europei, giapponesi e degli Stati Uniti, ogni anno seminiamo 40-50 proposte, abbiamo 300-400 lavoratori. Siamo tra i più avanzati sull’ambiente così ci chiedono di fare proposte per ridurre la deforestazione. Facciamo delle cucine economiche d’argilla per risparmiare carbone… anche sull’acqua ci chiedono di essere consulenti, abbiamo cominciato nell’84 durante la guerra civile… la caratteristica forte di Kulima è che si è radicata nel paese, presente in tutte le province e si avvale di cooperatori stranieri solo per competenze eccezionali che possano integrare i nostri tecnici che conoscono il terreno. Noi concediamo microcredito soprattutto alle donne, perché gli uomini fanno i minatori e scappano, l’unica eccezione maschile sono i pescatori, loro non se ne vanno, hanno la casa davanti al mare e la barca, il progetto pesca funziona. Il termine «kulima», in lingua bantu, significa «arare».

Le attività principali sono: sviluppo rurale (sviluppo della produzione agricola, commercializzazione di prodotti locali, sostegno di piccole imprese, microcredito, sviluppo di infrastrutture, creazione e supporto di associazioni di produttori, formazione); salute (campagne per la prevenzione dell’Aids, sensibilizzazione per l’igiene personale e ambientale, formazione di ostetriche nelle aree rurali); educazione (costruzione di infrastrutture scolastiche, supporto scolastico a bambini e ragazzi indigenti, alfabetizzazione della popolazione adulta); emergenze (distribuzioni di cibo e assistenza ai produttori colpiti da siccità e carestie); supporto ai gruppi vulnerabili (orfani, bambini emarginati, donne, giovani disoccupati). L’associazione si avvale di uno staff composto da 70 operatori fissi e circa 350 tecnici assunti per seguire specifiche iniziative: nella maggior parte si tratta di cittadini mozambicani in possesso di una formazione universitaria o superiore.

INTERVISTA A OSCAR MONTEIRO

Ho incontrato l’ex primo ministro Oscar Monteiro, un bell’ uomo colto e amabile, nel giardino pieno di piante e sculture della sua bella casa a Matola, Monteiro è stato uno dei fondatori del Frelimo, è stato ministro nel governo di transizione e nel primo governo indipendente di Samora Machel, insegna Diritto Costituzionale all’università Eduardo Mondane, nel 2012 ha pubblicato De todos se faz um pais, in cui racconta il processo di liberazione dal colonialismo. «Io non sono più un dirigente del Frelimo, dice, non faccio più parte del comitato centrale quindi ci sono delle cose di cui non posso parlare. Posso fare delle analisi e questo è importante, c’è una nuova generazione di analisti televisivi, che però non ha peso politico, perché Dhlakama(Renamo) fa quello che gli pare, Simango (MDM) anche… il modello dei partiti non permette di giocare un ruolo, questo è il problema, a questa nuova generazione di analisti che dovrebbe avere maggiore influenza sui partiti … noi, nel vecchio Frelimo, che non è mai stato un partito intellettuale, facevamo dibattiti, c’era uno spazio per fare delle analisi, degli studi, avere una creatività, c’erano degli intellettuali organici, ci vorrebbero delle avanguardie anche ora …»

Cosa pensi del nuovo presidente Nyusi?

Credo che sarà meglio di Guebuza, è molto esigente e capisce i problemi del paese, mi ha chiamato nella campagna pre-elettorale, è stato un segnale (Monteiro è di origine indiana goana quindi non è nero) un apertura rispetto al tema della negritudine caro a Guebuza…ma bisognerà vedere quanta indipendenza avrà…

Secondo te qual è la ragione del successo dei comizi di Dhlakama?

Un mio amico mi ha spiegato che è tipico della mistica bantù, credere nei redivivi e andarli a vedere, Dhlakama ha passato anni nascosto nella foresta di Gorongosa, e nessuno lo aveva più visto, per questo i suoi comizi sono stati così affollati, ma questo non vuol dire che lo stesso numero di persone che è andato a vederlo l’abbia poi votato, alcuni non si sono neanche iscritti (è necessario iscriversi al voto)… io conosco il lavoro elettorale, l’ho fatto, ma non è la stessa cosa che fare politica, adesso che nessuno fa più politica, tutti credono che farla, sia fare la campagna elettorale, ma non è così… in queste elezioni tutti erano sicuri di vincere…il problema sono i soldi, reali e inventati, sono tanti, Google pensa che ci fa vedere, con Google Earth, il mondo reale, ma non è così, perché sopra questo mondo, Himalaia compreso, c’è una cappa di soldi che ricoprono tutto e noi ci siamo affogati dentro, la mancanza di contrappeso, escluso il Papa, a questo liberismo-capitalismo sfrenato, ci ha bloccato, a noi tutti, e può condurre a situazioni molto gravi…

INTERVISTA A FERNANDO LIMA

Doveva essere la mia prima intervista, ma il giorno prima delle elezioni Fernando Lima, direttore del settimanale indipendente Savana ha subito una rapina, stranamente solo dei suoi computer e quindi è diventata l’ultima. Credo che dopo l’omicidio Cistac, sia vittima di forti pressioni

Cosa ne pensi dei risultati e delle contestazioni a queste elezioni?

Sembrava che l’MDM prendesse più voti perché era considerato come il maggiore avversario del Frelimo, perché si pone come partito del futuro mentre la Renamo è un partito vecchio… l’aspetto organizzativo sul conteggio dei voti è una disgrazia perché dopo 20 anni siamo più incompetenti della prima volta, questa è un’incompetenza e una disorganizzazione organizzata, anche in un contesto africano è triste che le cose vadano così… io credo che le strutture mozambicane siano in grado di fare un buon lavoro, ci sono persone che hanno girato il mondo per studiare tutti gli aspetti della macchina elettorale, dalla informatizzazione alla sicurezza, quindi non c’è giustificazione per questo disastro…in questo momento la cosa più importante per dare una fiducia al processo di crescita è non estremizzare le posizioni dei partiti politici.

Savana è un giornale indipendente che peso ha sull’opinione pubblica?

Anche se non vendiamo tantissime copie penso che il peso e l’influenza che abbiamo sulla società civile sia molto grande, anche politicamente, perché le notizie che noi pubblichiamo vengono lette sia da membri del governo, con le sue istituzioni, che dalla società civile, la cui opinione ha un peso non indifferente. Allora, se un giornale è serio, l’influenza è molto grande, per esempio noi pubblicammo la foto, scattata in una cena per cercare fondi per il partito, di un importante dirigente del Frelimo con una persona dichiarata dal governo degli Stati Uniti un barone della droga. Abbiamo inferto un colpo duro al Frelimo …ma la notizia era vera non l’avevamo mica costruita noi… naturalmente pubblicare queste cose ci espone a grandi ritorsioni di tutti i tipi, ma non tutto il Frelimo è disonesto, e c’è una grande parte della società che lavora , cerca di lavorare, seriamente. Io partecipo tutte le domeniche ad un programma televisivo visto da più di 1.500.000 di mozambicani e questo mi dà molta visibilità e mi espone a parecchi rischi televisivo visto da più di 1.500.000 di mozambicani e questo mi dà molta visibilità e mi espone a parecchi rischi.

LA SITUAZIONE SANITARIA, INTERVISTA A MARIA SALGHETTI

Maria Salghetti è una donna alta e ossuta, lavora nella Sanità da sempre, sguardo attento e aperto di chi ha visto, vissuto e capito molto. Vive in città, al secondo piano di una palazzina, senza fili spinati, un appartamento di media taglia, in un quartiere misto di case basse, come la sua, e palazzoni da venti piani, che le nascondono la vista dell’oceano non lontano. «Gli ascensori sono quasi sempre rotti e l’acqua c’è un giorno sì e due no, e in ogni appartamento ci vivono in tantissimi, pensa che fatica!» mi dice. Anche la sua casa è affollata dalla sua famiglia mista, sua figlia Timi, con il di lei compagno Nelson Faquir, e i di lui 3 figli, in un allegra confusione, regolata da inevitabili turni, i bambini sono molto educati e tutto sembra funzionare, lavaggi piatti e docce compresi.

Quanti anni fa sei arrivata qui?

Io sono arrivata in Tanzania con il Frelimo nel 1971 e poi sono passata dai campi della Tanzania a qui, nel gennaio 1975, prima dell’indipendenza durante il governo di transizione. Sono infermiera caposala e all’inizio lavoravo come infermiera responsabile e docente del corso infermieri. Poi ho lavorato molto nella formazione a Maputo e a Beira, abbiamo dovuto ristrutturare l’ospedale che durante la colonizzazione era diviso in due parti, per bianchi e per neri, e abbiamo dovuto riunificare e trattare tutti nello stesso modo: tutti erano coinvolti e c’è stato un grande sforzo… poi ho lavorato all’Istituto del Centro della Salute e dopo sono passata alla medicina preventiva. A Manica ero responsabile del programma di nutrizione, durante la guerra eravamo un’équipe formidabile…

Tirando le somme di tutti questi anni come vedi il paese?

Il problema è politico, sono state fatte scelte sbagliate, attualmente il governo ha scelto la politica dei grandi investimenti, soprattutto stranieri, pensando che il capitale scivolasse lungo la piramide gerarchica verso il basso, ma questo accade con grande lentezza, magari nelle città, ma in gran parte del paese non arriva nulla e la povertà persiste. C’è un grande sfruttamento delle risorse, i cinesi soprattutto, troppe multinazionali che spingono via le popolazioni dai loro territori. Il governo dovrebbe stimolare i piccoli contadini ad allargarsi per poter commerciare i loro prodotti, qui la terra appartiene solo allo Stato, quindi spesso i contadini per sopravvivere si vendono gli alberi, c’è un grande sfruttamento del legno prezioso, all’inizio il governo non chiedeva di ripiantare, adesso lo fa, però, per esempio, a Niassa hanno ripiantato gli eucalipti al posto dell’ebano, e poi c’è un grande commercio illegale…molti bracconieri…li lasciano fare…si sono estinti i rinoceronti…ci sono molti coccodrilli…hanno trovato 300 carcasse di elefanti… il corno di rinoceronte e l’avorio degli elefanti hanno un grande commercio illegale con la Cina e l’India…Purtroppo la colonizzazione portoghese non ha lasciato nessuna cultura della conservazione dell’ambiente. La popolazione vive in mezzo ai parchi, è difficile, ho curato bambini attaccati dai coccodrilli o dai leopardi con la faccia distrutta a Cabo Delgado … è dura per i contadini lavorare un campo tutto l’anno e poi vederselo distrutto in un attimo dagli elefanti… invece agli ippopotami non sopravvive nessuno…bè, certo, con quella bocca che hanno… il conflitto uomo animale è difficile, eh! Qui la forbice tra ricchi e poveri aumenta, gli stipendi base non servono a nulla, il costo della vita è altissimo, gli stessi medici e perfino gli infermieri, anche i tecnici di laboratorio, fanno il doppio lavoro, pubblico e privato, con il risultato che sono tutti stanchissimi e la qualità dell’assistenza è molto bassa.

Che opinione hai del lavoro di tutte queste ONG esterne?

Non tutte, ma alcune ONG, vengono qui, creano delle isole felici, in cui l’assistenza è migliore, le medicine ci sono sempre, e poi, quando il progetto finisce, vanno via e l’unità sanitaria ripiomba nel disastro. Il ministero della sanità ha dei protocolli per tutte le malattie più comuni ma a volte i medici stranieri fanno fatica ad adattarsi a questi protocolli. Adesso c’è un grande sforzo per integrare queste ONG ma non sempre funziona…

Che mi dici della medicina tradizionale?

Qui ci sono i curandeiros che praticano un misto di magia e medicina tradizionale e tutti ci vanno.

Che rapporti avete?

Ora c’è un grande sforzo per includerli che prima non c’era, perché il vecchio Frelimo li collegaa troppo con i riti magici e gli avvelenamenti, adesso si cerca di collaborare. Con la loro conoscenza delle erbe, per esempio curano l’asma, e poi, soprattutto, per i problemi psicologici sono molto meglio degli psichiatri, ovviamente…adesso va meglio … certo bisogna stare attenti che non si sentano sfuggire il terreno sotto ai piedi, bisogna trovare un sistema di reciprocità ma questo ancora non entra nella testa di tutti i medici…

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Ong: Dream

Gabriella Bortolot della Comunità di Sant’Egidio mi ha portato a vedere il centro Dream di Maputo, la sede era anticamente un convento, mi spiega, mentre mi fa girare tra gli ambulatori e il cortile (sala d’attesa) dove attendono il loro turno pazientemente le donne, mi racconta alcune delle loro storie, che si sono curate, che si sono messe a studiare, che si sono diplomate e ora fanno parte del personale dei Centri. Poi mi ha portato a Matola a vedere un nuovo centro appena inaugurato, dedicato a Annamaria Muhai (deceduta nell’aprile 2013), la loro prima attivista, la prima in Mozambico a dichiarare pubblicamente di essere HIV positiva e a mostrarsi in prima persona; nel giugno del 2011 è intervenuta all’Assemblea delle Nazioni Unite a New York  per sostenere l’accesso universale alla cura ed è diventata una delle testimonal  più conosciute e rappresentative del programma DREAM  ed  un’ icona indiscutibile della lotta all’HIV. Sempre a Matola ho visitato una scuola collegata al Centro, i bambini, bellissimi, hanno cantato e suonato, Zelia, Calcida e le altre attiviste, tutte mozambicane, farmaciste, biologhe, maestre che ho conosciuto, mi hanno sorriso, abbracciato accolto come se fossi una di loro. A volte in Africa si annullano le distanze con uno sguardo limpido.

Numeri cumulativi di DREAM in Mozambico dal 2002:
108.000 persone assistite dal 2002
90.000 pazienti attualmente in follow-up (di cui 22.000 bambini)
più di 13.000 bambini nati sani da madri HIV+
circa 1,6 milioni di visite mediche effettuate
circa 720.000 campioni di sangue analizzati (in totate)
circa 480.000 esami di Carica Virale eseguiti
oltre 420.000 pacchi alimentari consegnati

* Ringrazio con tutto il cuore gli amici A e M, che preferiscono non essere nominati, molte delle cose che ho visto e fatto nelle due settimane di permanenza a Maputo non sarebbero state possibili senza il loro aiuto e la loro generosa ospitalità.