«Gli uomini sono come le marche: di lusso, medie, e figli di puttana». Ride, bella e provocatoria Noha, e con lei le sue compagne, Randa e Soukaina con cui divide le notti che diventano alba, festini e malinconia di una libertà sfacciata che le circonda come una prigione. Di mattina presto, dopo una notte con un folle saudita, Noha si bagna la vagina con la coca cola: «Mi ha rovesciato l’utero», dice all’amica che invece è stata più fortunata, il suo saudita le ha letto poesie d’amore.

Much Loved è arrivato nelle nostre sale (distribuisce la neonata Cinema di Valerio De Paolis) con l’aura del film «maledetto», costato al regista e alle sue attrici una «scomunica» in patria, il Marocco, da parte del governo, e nel mondo dai religiosi più o meno intransigenti.

La sua «colpa»? Raccontare in modo frontale la vita di tre donne che si prostituiscono senza la retorica di altre motivazioni che non siano quelle della realtà in cui vivono dove il sesso, e i corpi, sono la merce primaria di un’economia sommersa, da vendere a tariffe alte come fanno le tre ragazze, o per qualche chilo di verdura, e anche l’unico strumento di guadagno democratico, alla portata di tutti.

Siamo a Marrakech, «una città di pazzi» la chiama Said, il solo uomo che vale, l’autista delle tre giovani donne, e anche un po’ il loro angelo custode.

Livida e notturna, percorsa da miseria e disperazione ci appare dai finestrini dell’auto che riporta Noha, Randa e Soukaina a casa. Noha ha un figlio, vive con sua madre, quando lo va a trovare ci si mette addosso il velo e un vestito informe.

La madre non la vuole, “mi fai vergognare coi vicini”, però le chiede i soldi che non bastano mai. Ci campano il fratello che non fa nulla, e la sorella che ha cominciato anche lei a uscire di notte …

“Sei solo una puttana” le grida contro il capo poliziotto prima di violentarla nel suo ufficio. Le umiliano, le picchiano, le insultano i maschi, europei o arabi che siano. Loro sembrano forti, si difendono, la fragilità è qualcosa che non possono permettersi. E cosí vanno avanti, come una sfida, piccola comunità sul bordo di un altrove e insieme segnata dalle stesse regole.

Randa sogna di fuggire in Spagna dove vive il padre che non ha mai conosciuto. L’amico transessuale vorrebbe andare con lei, ovunque si possa respirare.

È un magnifico film Much Loved, e rivela il bel talento di Nabil Ayouch, capace di entrare in un universo intimo con delicatezza ma senza compromessi.

Melò di amori impossibili, sussurrato nel quotidiano, e colpi bassi della vita il film di Ayouch è attraversato da un sentimento forte di verità, e non solo perché le sue attrici sono tutte non professioniste (peccato perdere nel doppiaggio la musica della loro parola), e perché il regista ha raccolto moltissime voci di prostitute per scrivere la sceneggiatura.

È che la loro storia diviene la trama attraverso la quale svelare le ipocrisie di un ordine di facciata, retto dalla violenza, dalla corruzione, dalla sopraffazione di polizia, istituzioni, ricchi stranieri, un ordine postcoloniale che trasforma le persone più fragili in cose: si può restare e fare la fame o fuggire dall’altra parte del mare, verso l’Europa che compra il sesso a poco prezzo (come la manodopera) ma non accetta di ascoltare le ragioni di chi vuole varcare i suoi confini.

Ayouch mescola realtà e narrazione con maestria, dalle prime immagini, il festino con i sauditi in una sontuosa villa, e centinaia di ragazze, gli uomini bevono, gettano un gioiello in piscina, ripescatelo! L’orgia va avanti, per tutta la notte, soldi, danze, battute, esibizioni, è chiaro che i wahabiti sauditi, che le donne le coprono di nero da testa a piedi non hanno gradito. E da qui la narrazione oscilla tra due diversi spazi, la vita di Noha e le altre e il mondo esterno, per dettagli, attraverso piccoli sogni, come aprire un negozio da parrucchiera, rivelare conflitti, e contraddizioni, anche loro aggressive con gli uomini troppo gentili, “sono froci” dicono.

La potenza del film è qui, ed è quello che disturba i poteri, queste donne raccontano un mondo contemporaneo, una lotta a cui oppongono la loro complicità, fatta di resistenza e stanchezza, ma soprattutto vissuta col corpo, l’unica cosa che possiedono, e che rivendicano, vivo e pieno di desideri a dispetto di tutto il resto.