L’appuntamento è alle 17.30 a piazzale Susa, una piazza di Milano che riversa nella periferia tutti gli intrusi che ogni mattina arrivano dall’hinterland. A poche centinaia di metri c’è il centro di detenzione di coloro che sono senza permesso di soggiorno, ipocritamente chiamato centro di accoglienza. Dall’altro capo del telefono raccomandano puntualità, se perdiamo l’autobus dobbiamo aspettare altri 15 minuti e il campo è a disposizione solo dalle 18 alle 19, perché poi si allenano gli altri, quelli normali. In che senso normali, chiediamo stupiti?

 

Lo stupore aumenta quando Martino Napolitani, medico che lavora con i disagiati psichici, ci racconta la sua esperienza. Lui ha avuto un’idea folle, quella di costituire una squadra di rugby fatta di pazienti con gravi disagi psichici, una trentina, tutti buttati nella mischia. “Cinque anni fa ho iniziato a giocare a rugby a livello amatoriale con la Stella Rossa Milano e ho pensato che la palla ovale potesse essere uno strumento riabilitativo anche per i pazienti psichiatrici. Mi sono detto, se gioco a rugby io possono farlo anche loro, il rugby poteva essere un’occasione per tirare fuori energie represse, perciò l’ho proposto alla comunità in cui lavoro. Abbiamo notato subito che uno degli effetti positivi immediati determinati dal rugby sui pazienti psichiatrici era il controllo fisico, perciò abbiamo deciso di proporlo anche ad altre strutture del sistema sanitario, come i centri di salute mentale, i Cps, le comunità psichiatriche private, perché inserissero nei piani di riabilitazione fisica anche il gioco del rugby. Le reazioni sono state entusiastiche, la nostra è un’esperienza unica non solo in Italia, ma in Europa. I pregiudizi secondo cui il rugby è violento, è un gioco pericoloso, c’è il contatto fisico, perciò si fanno male, sono caduti uno dietro l’altro grazie ai risultati che abbiamo ottenuto” afferma con una punta di orgoglio il dottor Napolitani.

 

Al campo di allenamento, il dottore raccoglie intorno a sé gli educatori- accompagnatori- finti giocatori, che fanno da supporto e dice che la seduta non prevede placcaggio, perché nell’allenamento della settimana precedente non ha funzionato, alcuni pazienti si sono spaventati, perciò limitarsi al solo contatto. Si parte con il passaggio della palla ovale di mano in mano, mentre il gruppo si apre a ventaglio. Dopo venti metri, uno si butta a terra e finge di svenire, dice che a mezzogiorno non ha pranzato, in realtà ha un attacco di ansia, si calma quando gli portano un pezzo di focaccia e una sprite. Alcuni disagiati psichici gli si fanno intorno, azzardano diagnosi, esattamente come fanno i medici nei loro confronti. Dal campo, la gran parte per nulla incurante di quello che succede ai bordi, una voce gli dice che deve tirarsi su, se vuole fare il modello. Un altro disagiato psichico corre oltre la rete a fumarsi la fine di una sigaretta, tirata in maniera frenetica, il dottore gli ricorda che non si può, ma il rugbysta con il cappellino a visiera lunga dice che non ce la fa.

 

Dentro i loro corpi ci sono storie difficili, come quella di due ragazzi romeni frutto di adozioni non andate in porto.

 

Il rugbysta con la maglia arancione è uno psicotico ossessivo sui cinquantanni, manifesta una certa rigidità del corpo, mai un capello fuori posto, si presenta sempre preciso fino a spaccare il secondo, disposto a eseguire tutto quello che gli si chiede con estrema precisione, che finisce per ingabbiare la sua mente fino mandarlo in tilt: “Da quando gioca a rugby arriva all’allenamento in ritardo e negli ultimi mesi ha imparato anche a dire dei no che hanno un senso” – dice il dottor Napolitani – “ Un altro esempio è quello di un ragazzo di 20 anni con aspetto un pò trasandato, sbracato, sempre fuori dalle regole, che negli ultimi tempi si presenta puntuale agli allenamenti, non ne salta uno, abbiamo notato un miglioramento complessivo del suo modo di essere e di rapportarsi agli altri. I nostri pazienti psichiatrici sono affetti da disturbi mentali, sono soggetti paranoici o psicotici gravi. Uno dei primi benefici è lo sfogo dell’aggressività, che difficilmente trova spazio altrove, si buttano nella mischia, cadono, hanno a che fare con il terreno, il fango. Prima dell’allenamento, quando ci ritroviamo per andare al campo di rugby il viaggio in macchina è sempre un po’ teso, alcuni sono nervosi, al ritorno sono tutti più rilassati”.

 

Si dividono in due gruppi durante l’allenamento, in modo tale che i disagiati psichici abbiano più figure di riferimento che si alternano tra loro. Uno di loro ha il piercing sul sopracciglio sinistro, un educatore gli dice di toglierlo perché può essere pericoloso, ma lui non vuole, dice che appena lo toglie si chiude immediatamente il buco. Mentre alcuni metri di adesivo da ospedale, portato da un educatore, gli cingono la testa per attutire un eventuale impatto, dice che in piscina per la riabilitazione ci va solo se c’è un’istruttrice che piace a lui, altrimenti niente nuoto. E per il rugby, quale sarà il punto di attrazione?

 

Piace la velocità a un disagiato mentale, vive un forte conflitto con l’ autorità, che non vuole riconoscere, perciò l’educatore si prende una spallata a gioco fermo, e se il dottore spiega che bisogna fare massa per impedire all’avversario con la palla appena fermato, di svincolarsi e procedere fino alla meta, lui si distanzia di alcuni metri, perché non può scendere al livello degli altri.

 

Alcune regole di gioco le cambiano per adattarle alle esigenze dei malati psichici, d’intesa con l’equipe costituita da sei persone, oltre al dottor Napolitani , c’è un educatore, uno psicologo, una ragazza laureata in scienze motorie, il fotografo e sua figlia, ai quali si aggiungono alcuni volontari.

 

”I nostri sono pazienti confinati in spazi psichiatrici, che alla lunga diventano ghettizzanti, la psichiatria ospedaliera concepisce solo la riabilitazione medica o quella farmacologica” dice con un tono di amarezza Martino Napolitani “Le nostre sono equipe di esperti che hanno a che fare con un numero ristretto di pazienti, la relazione con il mondo esterno è quasi inesistente. Il rugby ci ha consentito di fare un salto di qualità nel rapporto partecipazione-relazione. La riabilitazione dei pazienti non è solo di tipo fisico, non fa leva solo sul gioco, diventa soprattutto una riabilitazione psichica. Il rugby è proposto, opportunamente disciplinato, come efficace strumento di crescita, empowerment, stimolo e mantenimento di capacità. Attraverso il gioco, il corpo si relaziona direttamente con la mente, e in particolar modo il rugby coniuga e armonizza il lavoro individuale e il lavoro di squadra, la cui sintesi migliore si evidenzia nel concetto di sostegno, che non è solo un complesso di gesti tecnici, ma rappresenta buona parte della filosofia di questo sport. Rispetto alla nostra esperienza alcuni psichiatri si mostrano scettici, altri sono spaventati, c’è chi nutre poca fiducia nel lavoro che portiamo avanti, ma noi vogliamo raccogliere anche i dati scientifici, per dimostrare la validità del nostro progetto. La letteratura specialistica non offre alcuna documentazione di esperienze analoghe alla nostra: non sono ancora stati riportati i risultati specifici del rugby nell’ambito della riabilitazione psichiatrica. E’ nostra intenzione rendere condivisibili e oggettivabili i considerevoli effetti positivi che abbiamo potuto osservare in questo anno e mezzo di esperienza”.

 

Il progetto Mud/Mad Star, che dà anche il nome alla squadra, portato avanti dal dottor Napolitani e dalla sua equipe, è a costo zero, non riceve alcun finanziamento di sorta, ma per andare avanti, partecipare ai tornei e sostenere le spese per le trasferte, pagare l’affitto del campo di rugby e retribuire gli educatori, che fin dall’inizio di questa esperienza prestano il loro impegno volontariamente, occorrerebbero 18 mila euro. Fino a oggi l’esperienza rugby come terapia psico-fisica è circoscritta alle comunità terapeutiche di Milano, ma vorrebbero estenderlo anche a quelle della provincia, anzi Napolitani ha progetti ambiziosi per il futuro, vuole raccogliere le diverse esperienze di sport con i disagiati psichici, esistenti in varie regioni d’Italia e dar vita a un coordinamento nazionale. Vuole raccogliere le forze, per porre la questione della riabilitazione fisica e psichica di coloro che hanno problemi mentali attraverso lo sport. Vuole bussare alle porte del ministero della Sanità e del Welfare, perché la riabilitazione psichica attraverso lo sport e i progetti di inserimento lavorativi vadano di pari passo. Intanto, per l’autunno annuncia gli stati generali dello sport per i disagiati psichici. Un tipo strano Martino Napolitani, affiancato da un’equipe di collaboratori e volontari, che vuole sfidare il mondo in nome della palla ovale e sovvertire i canoni tradizionali della psichiatria. Vuole dire a gran voce, che loro sono tutti matti, per il rugby.