La prima notte di Pistoia Blues numero 36, definitivamente consacrato alla leggenda B.B. King, un «amico di famiglia, l’ultima volta nel 2012» per il direttore Giovanni Tafuro, è un bagno di folla. E di sudore. Ma alla fine godibilissimo. In ottomila e passa, tutti stretti in piazza Duomo, cornice e acustica perfetta, selva di cellulari e ipad, a decretare l’affidabile musicalità, contagiosa e mai appiccicosa, a dispetto di un’umidità a cinque stelle, dei Mumford & Sons, per l’ultima data italiana del loro Gentleman of the Road Tour, dopo Verona e Roma, e sempre il tutto esaurito. Raffinatezze vocali a cappella, punteggiature folk chitarra acustica e violino, impreviste pulsioni rock fra geometrie di luci, sciami fumosi, scariche percussive e schitarrate elettriche, i novanta minuti volano alla grande in sintonia con le attese del pubblico, anche genitori e figli, che balla, salta, batte le mani, qualcuno azzarda vecchie campionature woodstock (lei a cavalcioni sulle spalle di lui), conosce l’inglese e i testi li sa tutti a memoria.

I Mumford & Sons, che sono nati a Londra nel 2007, figli legittimi degli americani Fleet Foxes, ultimo fenomeno del panorama folk internazionale, approdano per la prima volta sul palco del Blues pistoiese. Sarà la piazza monumentale, sarà la partecipazione di folla, entrano in scena in punta di piedi, saluti da copione, il tempo sulle bacchette e parte Snake eyes, rombo di applausi, e subito a ruota I will wait, Babel e Below my feet. Avevano annunciato nel 2013, dopo due album, Sigh No More (2009) e Babel (2012), e i vari Grammy, una pausa. A tempo indeterminato. Neanche due anni ed eccoli di nuovo. Ma era tutta una finta. Anche l’annunciato scioglimento. «Colpa dei media che non ti lasciano in pace, volevamo prenderci la rivincita»: come dire vogliamo essere padroni del nostro destino. Che ha messo a tacere e mandato in soffitta, definitivamente dicono il vocalist Marcus Mumford e il chitarrista Winston Marshall, mandolini banjo e chitarra resofonica (quella dei musicisti americani degli anni 20), insomma via tutto l’armentario acustico, a favore di batteria, synth, organo e corde elettriche.

Il risultato, dopo la pausa, che sarà stata finta ma forse necessaria, è Wilder Mind, terzo disco della ditta appena uscito (4 maggio), che l’ha scritto tutti insieme, democrazia diretta da vecchio collettivo, molte tracce sfornate anche a Pistoia. A vederli saltellare e cantare i fan non sono stati delusi dall’inversione di rotta.

L’atmosfera folk che aveva dato l’impronta alla band un po’ svanisce ma non si cancella. L’eco alla fine resiste. La sperimentazione continua. «Il nostro sogno? Comporre l’intera colonna sonora di un film». Di certo non sarà La figlia di Ryan di David Lean. Pistoia Blues va avanti con un doppio made in england in esclusiva nazionale: Mike Rosenberg, the «Passenger», col suo ultimo lavoro, Whispers II, e The Darkness, storica band del nuovo hard rock britannic. In attesa dei Dream Theater prog-rock, e dei big Santana , e in chiusura, il 24 luglio, la prima volta a Pistoia di Sting. Info www.pistoiablues.com