I sentimenti in bilico, sospesi sul bordo dell’istante sono la materia su cui lavorano i romanzi di Banana Yoshimoto, storie di personaggi colti in quei passaggi fondamentali della vita, fosse anche l’attimo prima di un bacio, la sospensione erotica, o la tristezza di un distacco. E questa atmosfera impalpabile è anche quella che permea il film di Leonardo Guerra, appena passato al Festival di Roma, esordio che ci svela un talento sensibile e raffinato. ù

La scommessa è alta, narrare cioè la progressione del cuore, il suo movimento invisibile di attesa, speranza, delusione nell’incontro tra una mamma, Naomi, e il suo bimbo, il piccolo Ken, che la giovane donna giapponese, quasi una Madame Butterfly contemporanea, non rivedrà per molti anni. La potente famiglia (occidentale) del padre del piccolo ne ha ottenuto l’affidamento escludendo la madre dalla sua crescita. L’incontro avviene sullo yacht dell’uomo, a largo, e sotto lo stretto controllo dell’equipaggio. Naomi ha quattro giorni per conquistare suo figlio e lasciargli un ricordo d’amore.

Condurre questi duetto era perciò complicatissimo almeno senza cadere nelle trappole retoriche del sentimentalismo e della lacrima. Il regista, che ha studiato a Londra, lavora con un cast e una troupe internazionali di alto livello – i costumi sono di Milena Canonero e il montaggio di Monika Will, montatrice di Haneke – per in film pieno di delicatezza e di profondità, ma che soprattutto esprime un’idea molto personale di regia. Sono i dettagli che compongono l’inquadratura, quei piccoli gesti e frammenti dell’essere dove però si manifestano con chiarezza disagi e idiosincrasie: un boccone di cibo, un passo trattenuto, uno sguardo che fugge, una lama di luce. Le emozioni si palesano lì, non è quello il luogo delle lacrime e degli abbracci, madre e figlio sono distanti, non si toccano quasi.

Ma questa distanza pian piano sembra accorciarsi, la cerimonia (crudele) degli addii sfuma forse un qualcos’altro. È questo spazio vuoto che la regia di Seragnoli utilizza, spostando lì, quasi come in un detour di riflessi, lo scontro invece violento delle emozioni. Ed è l’imbarcazione, magnifica, progettata da Odile Lecq, a accogliere questa proiezione dell’intimità, nella quale progressivamente la presenza della mamma cresce superando gli ostacoli costruiti tra lei e il bimbo fino a un ricongiungimento che sembrava irrealizzabile, e al quale arriviamo infine anche noi spettatori.

Quel blocco unico si è diviso in tanti frammenti, a loro volto riflesso di stati d’animo, che si alternano come le onde, seguendo il movimento del vento, l’azzurro del mare, il colore del cielo L’autore non impone uno sguardo, né uno schema pomposo, il suo stile essenziale entra in quella zona intima del cuore con pudore e delicatezza regalandoci un piacere del cinema raro.