L’annuncio di un disegno di legge per tutelare il lavoro autonomo «non imprenditoriale», fatto a ottobre dal governo Renzi, ha scatenato un’immaginazione legislativa nel sindacato e tra i movimenti del lavoro autonomo e indipendente (qui il testo del governo). Il 14 dicembre scorso la Cgil ha approvato uno «statuto dei lavoratori e delle lavoratrici», un documento al quale si stava lavorando da tempo. Un chiaro segnale per il dibattito che potrebbe tenersi durante il 2016 a partire da un provvedimento attualmente collegato all’approvazione della legge di stabilità.

Una coalizione

La novità ancora più interessante è la bozza di «carta dei diritti e dei principi del lavoro autonomo e indipendente» approvata dalla coalizione 27 febbraio, una rete di venti associazione del lavoro autonomo ordinistico e «atipico» (avvocati, architetti, ingegneri, geometri, farmacisti, ricercatori precari), insieme a nuovi sindacati come le Camere del lavoro autonomo e precario (Clap) e quelli più tradizionali come i giornalisti di Stampa Romana (qui il testo completo).

Lo «statuto del lavoro autonomo professionale», così com’è stato presentato dal giuslavorista bocconiano Maurizio Del Conte (nominato dal governo alla presidenza dell’Anpal, la nuova agenzia per le politiche attive del lavoro prevista dal Jobs Act) ha creato un clima di attesa nei mondi dei freelance e degli autonomi. Recepisce tutte le rivendicazioni sui diritti sociali avanzate dai loro movimenti: promette alla lavoratrici di usufruire della maternità, a chi si ammala di essere più tranquillo senza la spada di Damocle dei pagamenti, assicura maggiore certezze dei pagamenti, rende possibile scaricare le spese per la formazione professionale.

Non sono concessioni del governo. Questi movimenti si sono conquistati il loro spazio. Per questo chiedono al parlamento di calendarizzare la proposta e al governo di approvare lo statuto entro il prossimo anno. L’attesa è così forte che l’abrogazione della norma per l’accesso ai ai bandi finanziati con le risorse dei fondi europei (un punto dello statuto del governo e presente nella carta dei freelance) ha sollevato le proteste di Confprofessioni, Confassociazioni, Acta e dell’associazione XX maggio.

Freelance in tour, da Nord a Sud

La carta della coalizione 27 febbraio nasce «per interloquire criticamente» con l’iniziativa governativa, oltre che con le altre proposte in campo. A gennaio i suoi promotori annunciano un «tour» da Nord a Sud per ampliare le reti a nuove realtà di freelance, associazioni e sindacati, un percorso che potrebbe portare a modificare il loro testo «aperto». L’obiettivo è affermare la «nuova condizione del lavoro indipendente» che riguarda i professionisti a partita Iva, i lavoratori parasubordinati e tutte le forme di intermittenza lavorativa. Oggi il lavoro «è una transizione tra condizioni contrattuali, lavorative, occupazionali diverse che si susseguono più volte nella vita, facendo saltare iconfini tra occupazione, disoccupazione, precarietà».

La coalizione propone una riforma universalistica del welfare basata su un «reddito minimo garantito a tutela dei periodi di non lavoro»; una riforma della fiscalità generale in senso progressivo e una della previdenza (vero cruccio per tutti gli autonomi under 45) con la proposta di una «pensione minima di cittadinanza». Una tesi avanzata anche dai freelance di Acta. Una proposta che cerca di tenere i freelance con gli autonomi delle 19 casse previdenziali private, un legame che rischia di perdersi nella proposta del governo. Si prevedono anche misure di contrasto alla penetrazione del capitale negli studi professionali e contro lo sfruttamento del lavoro.

Ripensare le pensioni

«Bisogna fare presto e approvare questo statuto per sollevare milioni di lavoratrici e lavoratori dalle loro difficoltà – sostiene Andrea Dili, presidente di Confprofessioni Lazio – A mio avviso, si dovrà in seguito ripensare il sistema delle casse separate dell’Inps e delle casse private. Oggi avere molte casse private, anche quelle gestite bene, non serve a molto. In Italia esiste una questione generazionale drammatica. Il ricalcolo delle pensioni retributive più alte alla luce del sistema contributivo va fatto. Altrimenti si dovrà ricorrere alla fiscalità generale per coprire le perdite e gli squilibri prodotti dalla riforma Dini. Al momento, tra gli autonomi, c’è solo la coalizione 27 febbraio che chiede un profondo ripensamento. I problemi nascono dalla drastica contrazione dei redditi e dalla contrazione del numero dei praticanti agli ordini. Questo vuol dire meno ingressi futuri. Bisogna cominciare a capire gli scenari futuri, al di là di previsioni fatte in una situazione economica che risale a prima della crisi».

***Leggi:La crisi dove meno te l’aspetti: professionisti sempre più poveri

Le mani nel piatto

«La Carta della coalizione 27 febbraio colma un vuoto – sostiene Francesco Raparelli delle Clap – è una presa di parola non corporativa su temi universali come il welfare, la previdenza, il fisco, i compensi. E’ una proposta aperta, da completare e estendere, con la mobilitazione, con le lotte. Per il momento registro un dato: questa carta mette in parole il dramma previdenziale che viviamo in Italia. Oggi sappiamo che non avremo una pensione in futuro, mentre nel presente non abbiamo poche o nessuna tutela contro la disoccupazione o la precarietà. Questi problemi emergono solo in parte dall’azione del governo, che conterrà l’aumento dell’aliquota della gestione separata dell’Inps al 27%, con l’impegno di portarla al 24%. Sul resto, a partire dal Jobs Act, arrivano altri segnali: precarizzazione del lavoro, interventi marginali sul welfare, nessuna estensione universale. La Carta mette le mani nel piatto e, a partire dal lavoro indipendente, definisce i diritti sociali e di cittadinanza per tutto il lavoro».

«La nostra coalizione sta tessendo relazioni politiche e sindacali tra il lavoro dipendente ed il lavoro autonomo ed è riuscita a elaborare un documento aperto che in prospettiva individua i principi risolutivi dei problemi di tutti. È una risposta alle grandi diseguaglianze tra i redditi che cancellano le differenze tra dipendenti e autonomi. Oggi bisogna redistribuire la ricchezza, i carichi fiscali e previdenziali. I ricchi devono pagare di piu, questo è il principio cardine», afferma Cosimo Matteucci (Mobilitazione generale degli avvocati).

I rischi

Paola Ricciardi, architetta di «Iva sei Partita» che partecipa alla «Coalizione 27 febbraio», rivela una preoccupazione dei movimenti a proposito dello statuto del lavoro autonomo annunciato dal governo: «In questo momento c’è un’indecisione: del governo se estendere o meno lo statuto agli ordinisti. L’orientamento – ha sostenuto l’estensore del provvedimento Maurizio Dal Conte in un incontro all’ordine degli architetti di Roma – è di non estenderlo perché le nostre professioni si regolano da sé. In realtà non è così: i professionisti eleggono i propri rappresentanti provinciali che poi eleggono con un sistema molto poco democratico i rappresentanti nazionali. Questi ultimi interloquiscono con il governo. È un’elezione indiretta a cui partecipano pochissime persone: il 20% degli iscritti a Roma. Se capitasse per un’elezione politica diremmo che non esiste democrazia. Ma questo accade in tutti gli ordini». «Non si può pensare di fare uno statuto del lavoro autonomo per una parte del mercato del lavoro che fino a oggi non è stata mai regolamentata, creando una nuova disparità – aggiunge – Noi crediamo che esistano diritti che non dipendono dal lavoro che fai, ma che sono universali e riguardano tutti: i dipendenti e gli indipendenti».

Dossier: il lavoro indipendente in Italia

Stampa Romana: uno statuto per tutelare i giornalisti freelance (Lazzaro Pappagallo)

Cgil, uno statuto dei lavoratori per una nuova cittadinanza sociale (Giuseppe Allegri)