La devozione dei cristiani dei primi secoli per Gerusalemme s’inquadra nel loro atteggiamento d’intenso affetto per tutta la Terrasanta, teatro storico della storia sacra: a questa terra ci si volge per trovare i segni e rintracciare le prove – le reliquie – dell’effettiva storicità dei Vangeli e per entrare anche fisicamente in contatto con essa.

Ma il pellegrinaggio d’età precostantiniana era praticato essenzialmente a livello di élite: si trattava di singoli fedeli, le motivazioni dei quali – a parte la devozione – consistevano nella necessità di chiarire a se stessi o per conto di altri questioni bibliche o teologiche.
Le cose cambiarono dopo i due editti di Galerio del 311 e di Costantino e Licinio nel 313. Parallelamente a un rinnovato interesse per la Terrasanta in genere e per Gerusalemme in particolare, Costantino avviò un grandioso lavoro di recupero, ricostruzione e ridefinizione di Gerusalemme. E fu in quegli anni che si ebbe la scoperta della Vera Croce di Gesù Cristo. Fu allora che si fondò il culto della Passione e della Morte del Cristo incentrato sulla basilica.

Le vicende dell’invenzione della reliquia della croce da parte della madre di Costantino sono compiutamente narrate per la prima volta da Sant’Ambrogio nel De obitu Theodosii. Attorno al tema del tardivo radicamento della notizia dell’inventio, molto è stato scritto. Ha creato perplessità soprattutto il silenzio di Eusebio, contemporaneo e probabile testimone oculare, sull’argomento. Ma verso il 350 ne parlava il vescovo Cirillo di Gerusalemme e un’iscrizione di Tixter, in Africa, prova che la reliquia veniva venerata a Gerusalemme nel 359. Poiché il «Pellegrino di Bordeaux», che compì il suo viaggio nel 333, non parla della reliquia, se ne dedurrebbe che il suo culto si sarebbero imposti all’attenzione dei devoti in un momento compreso fra queste date, quindi fra il quarto e il quinto decennio del secolo.

Secondo la narrazione destinata a consolidarsi e a diffondersi nel ciclo medievale della legenda crucis, Macario vescovo di Gerusalemme avrebbe in occasione del concilio di Nicea del 325 invitato l’imperatrice-madre a visitare la città; essa vi si sarebbe recata l’anno successivo, e in quell’occasione avrebbero avuto luogo l’inventio della Vera Croce e la fondazione delle due principali basiliche gerosolimitane, l’Anastasis sul luogo tradizionale del Calvario e della grotta del Sepolcro (sul quale Adriano aveva fatto erigere il tempio a Tyche-Astarte-Venere) e l’Eleona sul Monte degli Olivi. Una fonte greca posteriore, quella del monaco Alessandro, aggiunge che il vescovo Macario aveva avuto da Costantino l’ordine di cercare la Vera Croce: si tratta evidentemente di una leggenda.
Ma l’insieme di queste leggende costituisce un corpus importante per la storia della religiosità e, più in generale, della cultura medievali: come dimostra il libro di Chiara Mercuri, La Vera Croce. Storia e leggenda dal Golgota a Roma (Laterza, pp. 186, euro 16), che ne ricostruisce variabili e sviluppi. Fra i più importanti, quello della Legenda aurea di Jacopo da Varazze, che alla fine del Duecento scrisse una raccolta di leggende relative alla storia sacra e alle vite dei santi, organizzata secondo il calendario liturgico. Un testo di straordinario successo e di grande influenza sulla successiva tradizione iconografica.

Allo stesso tempo, le leggende relative alle reliquie, a quelle della Passione soprattutto, hanno risvolti storico-politici importanti; a Roma, come scrive Chiara Mercuri, sono essenziali al papato per costruire l’immagine di una città-santuario e rivendicarne il ruolo di centro della Cristianità, in sostituzione della stessa Gerusalemme, soprattutto dopo che questa venne riconquistata da Saladino nel 1187. Sebbene un frammento della Croce giunse anche a Roma, qui vi furono altre reliquie a occupare il centro della scena: come la Veronica, a sua volta al centro di una sorta di romanzo con mistero circa la presunta scomparsa.