Ci sono quasi soltanto televisioni italiane, a filmare l’altare steso a terra in Breitscheidplatz a commemorare le vittime dell’attacco a Berlino di lunedì. È un tappeto di lumini, in mezzo a cui svetta, unica, una bandierina israeliana.

Sono ceri e bianchi e rossi, in un cromatismo che, seppur sinistro, si integra e si fonde con quello natalizio: il mercatino, su cui quattro giorni fa si è lanciato il tir con a bordo l’ancora latitante attentatore e il già quasi dimenticato autista polacco, si è rimesso in moto.

L’altare è insidiato già alle dieci del mattino dell’olezzo dei braceri su cui tra poco arroventeranno i wurst. Le troupe televisive chiedono e restituiscono la linea, parlando di gravità del Momento e della dignità composta dei tedeschi.

C’è anche un’emittente danese, e sopra tutti noi si staglia una struttura argentata con su scritto Concept shopping. A pochi metri c’è una grande palla rossa di Natale, di quelle che andrebbero appese a un albero, ma a dimensione umana: dentro ci sono un padre con il figlio in passeggino che si fanno fotografare dalla madre. Le troupe riprendono quel vuoto cercando di farlo diventare un pieno fatto di parole, ma diventa solo un vuoto raccontato. Dall’altra parte della strada gruppetti di persone escono dal Berlin Bikini muniti di pacchetti.

Va in scena così, l’attacco al cuore di Berlino, nelle tv italiane con gran clamore e qui fuori con un mercatino che si è rimesso in moto in maniera più naturale che coraggiosa.

Le espressioni di chi vende bratwurst e patatine sono quelle di chi si è rimesso a fare il proprio lavoro perché Natale è il momento più propizio, piuttosto che di chi vuol fate l’eroe che non si piega alla legge del terrore. La normalità, anche commerciale, che diventa un baluardo e insieme un anestetico.

Intanto dall’Italia ricevo in mail newsletter di auguri con stelline colorate e l’annuncio di nuovi prodotti in arrivo a inizio anno. E poi, come milioni di persone, messaggini di auguri sparati dal grilletto dello smarthphone a tutta la rubrica. Solo quattro giorni fa le compagnie telefoniche registravano l’esplosione dei «Tutto bene?» spediti a tutti quelli che erano a Berlino: la preoccupazione mista alla compulsione a esserci, il pollice per compatire e però anche per non restare fuori dalla Storia. Una faccina preoccupata per essere lì, cioè qui, nel Momento che già adesso è sfumato, si accende solo nei collegamenti alla tv.

E mentre il cronista del Tg1 comunica stupito all’operatore che Papa Francesco ha chiamato in diretta a Uno Mattina in coda al suo collegamento, il mercatino è già in funzione, qualcuno guarda i cibi intimidito, qualcun altro fotografa la distesa di lumini.

Una giostra è ancora ferma, e non è chiaro se durante il giorno partirà. Le sue astronavi, rimaste ferme a mezz’aria, incombono su due uomini della Polizei che si guardano intorno con facce tutto sommato ben disposte, ignari, o così pare, dei mostri volanti sospesi sulle loro teste. Il traffico, in strada, è quello che va verso le feste, le auto, i bus stipati di persone.

La Gedächtniskirche, con le ferite della Seconda Guerra Mondiale bene in vista, sta dentro ogni inquadratura, a far da rima, in quanto Simbolo, con quest’altra ferita che la Storia ha aperto nel cuore di Berlino e dunque nel cuore dell’Europa.

Ma fuori dall’inquadratura è ancora il Natale che comanda: nella doppia variante ipercinetica e di una strana, tangibile, forma di ottundimento anestetizzante.

Una coppia, accanto a me, parla dei ritrovi familiari che li aspetta il 24 e il 25; traguardano al Capodanno, che sarà, dicono, di sicuro meglio. Poi si avviano verso la metropolitana, che da oggi ha riaperto e dove scendo anch’io. Sulla Ubahn una signora cerca di trovare spazio per il suo albero di legno che porterà, presumo, fino dentro casa. Una ragazza ha un cappellino da Babbo Natale che porta come nulla fosse, il pon pon bianco su tessuto rosso.

Stiamo tutti insieme, noi e molti altri, in una cosa che sembra una specie di vaga depressione, a qualche metro sotto il suolo. Stare dentro una guerra globale e non sentirla più – sembrano dire quelle facce. Meglio dunque spegnersi dentro un’altra guerra quotidiana, dentro un logorio.

Fuori, qualche metro sopra di noi, per le strade di Berlino, forse c’è un assassino che gira armato, dopo essere scampato. Eppure è un pensiero che non sfiora, se non per attimi lancinanti, subito portato via dal rumore delle cose. Forse è proprio qui sotto terra, sulla U2 dalle parti di Nollendorfplatz, dove transitiamo. Forse siede accanto alla signora col suo albero di legno. Oppure a fianco a me. Magari è proprio quel tizio che si guarda lo spazio in mezzo ai piedi.

Sopra, in superficie, le troupe andranno avanti tutto il giorno, a far collegamenti, e forse non più solo gli italiani. E fino al sei gennaio saranno aperti anche i mercatini. Come tutto, del resto, almeno fino al 25. Per i regali dei ritardatari. Boutique di vario tipo, ristoranti e librerie. E anche le farmacie.

A Natale c’è sempre il boom degli antidepressivi.