A distanza di tre settimane, si può tornare con più serenità sulla decisione di una scuola elementare di Sassari, frequentata per metà da bambini non cristiani, di respingere la visita dell’arcivescovo locale in occasione del Natale.

Nelle democrazie moderne, il multiculturalismo ha messo in evidenza la fragilità psicologica del tradizionale rapporto tra Stato e Chiesa di fronte al mescolamento rapido di credi religiosi molto diversi. Da una parte il mescolamento richiede mediazioni politiche importanti e quindi istituzioni laiche forti, rigorosamente al di sopra delle parti; dall’altra parte le istituzioni devono essere ripensate, rinegoziate e nel periodo di transizione, pieno di incognite e incertezze che alimentano le diffidenze, l’appartenenza religiosa diventa un fattore identitario formidabile. Tra le diverse comunità si erigono steccati che sono più emotivi che teologici/ideologici. In questo scenario l’ostilità latente nei confronti dello Stato laico e la sua inconsapevole elezione a oggetto persecutorio, ha ottime possibilità di assumere la funzione di collante tra percezioni del mondo eterogenee.

L’ostilità verso le istituzioni laiche, di cui non si può fare, tuttavia, a meno -pena le guerre religiose- crea una società di scompartimenti stagni, contigui ma affettivamente non comunicanti. Il riconoscimento nello Stato tende a fondarsi non sulle libertà civili (sulla libertà dello scambio erotico, affettivo e intellettuale), ma su una paradossale laicità teocratica, una normatività che senza riprendere i contenuti dei dogmi religiosi a cui si ispira, ripropone, nondimeno, la loro astrazione delle regole dalla vita realmente vissuta.

La possibilità che il multiculturalismo, senza una sua gestione politica adeguata, possa evolvere in questa prospettiva -che non è quella della religione autoritaria, ma dell’autoritarismo fatto religione- non è ipotesi teorica. È difficile comprendere le anomalie nel rapporto tra lo Stato laico e la religione negli Stati Uniti (dove il creazionismo ha pari dignità con l’evoluzionismo), senza tener conto delle difficoltà endemiche di far dialogare e compenetrare le tante culture che convivono in questo paese.

È cambiato il rapporto tra la politica e la religione, la loro tradizionale (e conflittuale) divisione di compiti: la soluzione dei problemi mondani alla prima, la speranza di una vita oltre la morte alla seconda. In un mondo in cui la soddisfazione del desiderio si è distorta nell’appagamento di bisogni indotti, la politica cerca di colmare il vuoto di emozioni che la distorsione determina, adattando alla vita mondana il modello consolatorio della religione. L’esempio più istruttivo di questa abdicazione della politica, la base di un autoritarismo strisciante, è una scienza sempre più foraggiata per stare lontana dal suo dialogo col dubbio e produrre certezze. Quale consolazione migliore contro la frustrazione della piombatura del senso di mancanza.

Il Natale è nella tradizione occidentale la festa religiosa più laica perché unisce alla speranza consolatoria di un avvenire messianico, il desiderio di far nascere il nuovo. Lo Stato laico, andando all’incontro con una società multi-religiosa, farebbe meglio a non incastrarsi nelle logiche delle singole fedi e affrontare la questione del pluralismo nell’ottica del rapporto con l’altro (indipendentemente dal suo credo). La prospettiva laica di Natale la si coglie mettendo nella culla di Gesù un bambino genericamente «straniero». Il neonato che rivelandosi diverso dall’immagine che abbiamo proiettato su di lui, ci cambia la vita. Non è il vanto della Chiesa.