Non aspettatevi scene di scontri eroici, in queste immagini che il fotografo Roberto Vignoli presenta da ieri al Museo Luigi Pigorini con il titolo «Fighters». Nessun corpo-a-corpo tra manifestanti e forze dell’ordine, niente respingimenti a colpi di lacrimogeni o acqua gelata sparati in piena notte, come è già successo contro le migliaia di nativi in resistenza da mesi nel North Dakota. E come certamente accadrà nelle prossime ore, se l’ordinanza di sgombero entro il 5 dicembre non verrà osservata.
Lo spirito della rivolta riposa e ogni tanto si risveglia in ciò che i nativi chiamano il Grande Spirito, sebbene con nomi di volta in volta diversi, per significare la stessa cosa, ovvero l’Anima dei luoghi. «Impossibile non sentirlo, anche quando ti trovi a respirare la disperazione della loro condizione, ospiti come è successo a me di quelle riserve in cui vivono confinati» spiega Vignoli.
RADICI
Quattro enormi radici campeggiano imponenti dietro di lui su una parete del Pigorini. «Mi ci sono imbattuto lungo le rive del lago Lilloet, in Canada, British Columbia, dove nel 2011 sono stato testimone della battaglia degli indiani Ucwalmicw contro un progetto di sviluppo turistico, una pista di sci nella Melvin Creek Valley, tra le poche che si sono salvate dalla colonizzazione dei bianchi e tuttora dimora dello spirito Sutikalh. E un certo giorno eccomi di fronte a questi enormi corpi d’albero, che per noi sarebbero legna da ardere e per loro erano oggetto di devozione. Facile capire perché, se pensiamo alla possanza degli alberi che potevano ergersi da quelle radici, in quel paesaggio che per generazioni si è tramandato nello sguardo dei loro antenati. Radici significative quindi della memoria di quello sguardo, della continuità di quell’appartenenza alla valle. Tornato in Italia ho cercato di capire la storia di questi nativi: successione di promesse disattese, di territori e risorse alienati con la forza – ma almeno quella battaglia, guidata dall’indomita Rosalynd, che per settimane ho visto galvanizzare l’occupazione della valle, si è risolta in vittoria… »
IL MALECÒN
Dalla British Columbia al Malecòn di Cuba, 7 km di lungo-mare che Vignoli ha ‘ridotto’ (si fa per dire) in una foto-sequenza lunga quasi 20 metri «a più lunga mai realizzata». Già esposta in una quantità di spazi gallerie, da Marsiglia a Nantes, da Santa Fé a Los Angeles e Filadelfia, il Malecòn di Roberto Vignoli trova in questa Mostra la sua location perfetta, per quel fil rouge che lega chi ha lottato e vinto nei territori Ucwalmicw della British Columbia, con i Sioux che stanno lottando contro la DAPL a Standing Rock, con gli antichi e ormai estinti Taìno che proprio a Cuba furono protagonisti della prima eroica resistenza contro l’uomo bianco. «Era il 2008 e mi trovavo a Cuba per una Mostra di ritratti, ospite dell’Ambasciata Cubana in Italia, che a un certo punto mi stimolò a realizzare un mio personalissimo ‘ritratto’ di quella città, l’Havana, che già in tanti avevano fotografato. Il giorno prima ero stato al Museo della Rivoluzione, aspettandomi il solito déjà vu di retorica – e invece avevo scoperto la storia di questa straordinaria ribellione, guidata dal leggendario Hatuey solo 20 anni dopo l’arrivo della Caravelle di Colombo, e rievocata con sorprendente empatia dal sacerdote, Bartolomeo de La Casa, che nel 1512 accompagnò appunto la spedizione di Velasquez e Cortes, alla conquista delle isole caraibiche. Talmente crudele e rapace fu quella conquista, da indurre le donne Taìno ad abortire in massa, per contribuire ad una auto-estinzione preferita alla sicura schiavitù. Il nome di Hatuey sopravvive nella birra locale, che i turisti sorseggiano senza farsi troppe domande. Ma il fatto che dei Taìno non esista più traccia, mi ha ispirato il vuoto che ho cercato di rendere nel mio Malecòn: foto-sequenza che ha richiesto molta pazienza e la massima precisione nel posizionamento del cavalletto, in un unico pomeriggio per fortuna vuoto di gente, lungo la sfilata dei palazzi e delle chiese che meglio non potrebbe raccontare l’anima di questa città. Ma per rendere la perfetta continuità di questo sguardo-carrellata, priva di cesure, c’è voluto oltre un anno di prove-di-stampa – un lavoro per il quale sono grato allo Studio 10b, alias Francesco Zizola e Claudio Palmisano».
I SIOUX
Ed ecco di nuovo quello stesso sguardo-carrellata per raccontare anche gli indiani Sioux, che Vignoli è riuscito ad avvicinare nella riserva indiana di Rosebud, South Dakota, quando ancora non esisteva la minaccia della DAPL. «In quel caso è stato un pomeriggio di intenso azzurro-cielo ad ispirarmi, qua e là pennellato di nuvole bianche che ho interpretato come i segnali di fumo del loro Grande Spirito» rievoca Vignoli. Quindici scatti realizzati in poche ore per cogliere essenzialmente quegli attimi di bianco, nell’azzurro del cielo. E sequenza di volti, che dai primi di ottobre è in esposizione permanente al Buechel Memorial Lakota Musuem, e che l’avvocato-antropologo Alessandro Martire, da anni impegnato per il riconoscimento ufficiale della Nazione Sioux, troverà il modo di raccontare, in uno degli eventi collaterali già previsti parallelamente alla Mostra.
MARTY TWO BULLS JR
E la battaglia attualmente in corso nel North Dakota, che tutto il mondo sta seguendo con il fiato sospeso sui social networks, vista la scarsa copertura sui media ufficiali – come andrà a finire? Lo abbiamo chiesto a Marty Two Bulls Jr, invitato da Santa Fè dove vive per inaugurare la Mostra. «Tutto il mondo ha potuto vedere nella resistenza dei Sioux una scelta di non violenza contro la violenza dell’apparato. Violenza che si è espressa in mille modi, lacrimogeni, acqua gelata sparata dai cannoni, raid aerei con spargimento di sostanze chimiche sui territori delle riserve in cui i Sioux sarebbero sovrani. Violenza che non ha risparmiato neppure i giornalisti, i supporters del week end, i VIP, persino l’attrice Shailene Woodley è stata arrestata insieme a 27 attivisti nel giorno del Thanksgiving. Questa prova di compostezza, che da aprile ad oggi ha caratterizzato la protesta dei Sioux, ha contribuito alla comprensione della nostra battaglia che ormai è la battaglia di chiunque abbia un minimo di buon senso, per capire che dalla custodia di Madre Terra e delle sue risorse, dipende la nostra salute, la vita, il futuro dei nostri figli. E già questa è un’enorme vittoria. L’altra grande vittoria è stata la rinascita della nostra gente, più che mai unita, dopo anni di disperante apatia, alcolismo, disperazione: trovarci così in tanti, ben 300 tribù, anima di una resistenza che ormai anche l’uomo bianco può condividere, segna l’inizio di un nuovo corso della storia, comunque andrà a finire a Standing Rock». Marty Two Bulls Jr è un giovane Sioux della tribù Oglala che a Santa Fè gestisce una Galleria, compone musica, dipinge – e può considerarsi perfettamente integrato. Come perfettamente integrato è il padre, Martin Two Bulls Senior, affermato cartoonist. «Mi è sembrato importante, con l’occasione di questa mostra, rappresentare anche questa contemporaneità della Nazione Indiana» spiega Vignoli «che rende più che mai attuale la resistenza che vediamo rappresentata a Standing Rock; ma che in effetti è la storia del nostro stesso mondo, dalla scoperta dell’America ai giorni nostri. Lo specchio in cui cui dobbiamo una volta per tutte rifletterci e riflettere, per ripartire».