Si ricomincia da The Block, l’incredibile stoppata di Lebron James sul facile tiro a canestro di Andrè Iguodala dei Golden State Warriors a un minuto dal termine di gara 7 che consegnava il titolo Nba, il primo nella storia, ai Cleveland Cavaliers. La lega del basket più bello e globale del mondo stanotte ha lanciato in aria la prima palla a due ripartendo dalla sfida tra il suo Re, il più forte giocatore del mondo, uno dei quattro-cinque che hanno davvero segnato la storia del gioco, contro Golden State, l’armata della Baia di Oakland da 73 successi nella regular season della passata stagione che nel motore a più cilindri – Steph Curry, Klay Thompson e Draymond Green ha inserito anche il sesto, Kevin Durant. Cioè per anni il numero due, il vice Lebron, più volte miglior marcatore della Lega con gli Oklahoma City Thunder. Dietro Cleveland e Golden State, un paio di avversarie (San Antonio Spurs, Boston Celtics) che potrebbero rovinare il copione già pronto per la loro terza finale in fila, i due italiani (Danilo Gallinari ai Denver Nuggets e Marco Belinelli agli Charlotte Hornets) e la rinascita di Los Angeles Lakers e New York Knicks.

Questa è la sceneggiatura migliore che offre al momento l’Nba, microcosmo cool del sistema sportivo americano, lega dura, verticale, dominata dalla componente afroamericana e per questo segnata dalla stagione di violenze verso i neri d’America. Lebron James, assieme ad altri fenomeni della palla a spicchi, da Chris Paul (Los Angeles Clippers), Carmelo Anthony (New York Knicks), Dwyane Wade (Chicago Bulls) salivano su un palco nel corso di una cerimonia organizzata dal network Espn per denunciare le violenze sui neri d’America, lo scorso giugno. Poi i toni sono ulteriormente saliti, le rivolte e i continui efferati round di intolleranza da parte della polizia yankee hanno indignato e provocato la ribellione dello sport americano, partita dalla Nfl, da Colin Kaepernick dei San Francisco 49ers che boicottava l’inno nazionale, seguito poi in varie declinazioni nella Nfl ma anche nella Nba. «La polizia statunitense fa paura, temo per mio figlio» confessava meno di un mese fa lo stesso James, ragazzo dal ghetto di Akron Ohio, vicina a Cleveland, cresciuto senza padre tra emarginazione, assenze, morti e che è deciso a far sentire la sua voce come quando vola a canestro.

Tornando al parquet, la Nba vive la prima stagione con il nuovo contratto collettivo per la vendita dei diritti televisivi da 24 miliardi di dollari in nove anni, con qualcosa in più degli spiccioli nelle tasche dei giocatori, che hanno visto salire alle stelle i compensi per i nuovi accordi con le franchigie. Tutto merito di un sistema che funziona (anche se c’è il rischio di uno sciopero dei cestisti in caso di mancato accordo con i proprietari per il rinnovo del contratto collettivo di lavoro), attraendo utenti in ogni angolo del globo.

E per questo motivo la Lega, i campioni di oggi e i proprietari delle franchigie che hanno visto lievitarne il valore medio (1,1 mld di dollari secondo la rivista Forbes) si sono spellate le mani per omaggiare la fine della corsa per Kobe Bryant, Tim Duncan e Kevin Garnett. Tre fenomeni, 11 titoli messi assieme. La fascia d’età 15-40 anni si è avvicinata alla Nba soprattutto grazie a loro, classe, tecnica e voglia di vincere, una cartolina del prodotto basket da spedire in Europa, Asia e ora Cina e India, da qualche anno i mercati di riferimento per la Lega.