Sembra un gioco, di allusioni e travestimenti, di satira e deformazioni. Eppure a fine spettacolo, dopo quasi due ore di battute (alcune note e altre molto divertenti, qualcuna ferocemente irresistibile) è un dubbio inquietante e amaro quello che domina serpeggiando tra il pubblico, spettatore per spettatore. Ed è la domanda del titolo, l’unica a restare davvero senza risposta, dopo tanti scempi denunciati e palesi: Come ne venimmo fuori. Ovvero la nuova apparizione teatrale di Sabina Guzzanti (al Vittoria ancora stasera e domani pomeriggio). Già, dopo tanti «misteri» chiariti, giudizi consegnati alla storia per chi avrà voglia di leggerli, denunce che solo due giorni dopo la magistratura ha già messo sotto il microscopio delle indagini, «pettegolezzi» che sulla realtà del nostro paese suonano requiem per quelli che sarebbero i fondamenti della convivenza civile, si può ridere o scuoter la testa, ma l’interrogativo posto dallo show travestito da facile fantascienza, diventa, per chi «fuori» vorrebbe davvero venirne, una questione frustrante.

Capace perfino di oscurare la serata passata piacevolmente a ridacchiare del nostro pantheon fasullo, popolato come una demenziale scacchiera di premier passati, presenti o appena «dimessi». E di «valori» altrettanto fasulli che sono ridotti a pura mascheratura di interessi inconfessabili ai limiti del reato (quando non lo oltrepassano bellamente); o smanie piccolo borghesi di volontaria omologazione, o anche semplicemente dei «vorrei ma non posso» condannati da una crisi feroce a rimanere tali. Sabina Guzzanti sembra saggiamente voler prendere le distanze da questo panorama avvilente dell’oggi, e con espressioni colorite si situa a metà del secolo attuale, volendo raccontare il secolo «cortissimo» iniziato nel 1989, dopo le cadute dei muri, e forse anche di ogni decenza. Attraverso la lente di quel prossimo futuro, l’artista può raccontare quello che viene ricordato dei nostri attuali giorni. Con qualche flash del Tg Porco che da qualche settimana conduce su La 7 all’interno di Piazza Pulita, e con molte variazioni sul tema piuttosto esilaranti.

L’attrice e la drammaturga convivono in lei e si rafforzano a vicenda. La regia di Giorgio Gallione l’aiuta a posizionarsi in prospettive diverse, tra microfoni e leggii, davanti a pannelli d’ambiente futuribile, come d’obbligo dato il tema, che le luci animano in maniera secca. Lei, giornalista e cronista dall’insana curiosità per i nostri giorni, accentua vezzi e debolezze delle colleghe attuali, inalberando una capigliatura e un abito di sicuro avvenire. Fa ridere, certo, e fa ridere di noi. Ogni tanto vien naturale a lei essere vaga per l’incomprensibilità delle azioni «di quel tal Rinzi, o Runzi» che tanto ha disfatto tutto quello che trovava.

Ma anche nel pubblico è probabile che scatti una sorta di pudore, a tratti, per l’insensatezza che ogni racconto assume, visto da «trent’anni dopo». Poi certo risultano sempre godibili le gag di Berlusconi, che a questo secolino inspiegabile e nefasto ha dato avvio con Craxi, anche se alla prima dello spettacolo non era ancora partito l’ingarellamento con Bolloré di Vivendi. Ma è possibile che il fiume di orrori si ingrossi in seguito. Resterà invece ancora un mistero, ahinoi, Come ne venimmo fuori, quando mai ci riusciremo.