Con il clamoroso exploit di Buena Vista Social Club, pubblicato nel ’97 dalla World Circuit, successo poi ulteriormente amplificato dall’omonimo film di Wim Wenders, nell’ultimo scorcio del secolo la musica cubana si è trovata proiettata sulla cresta dell’onda a livello internazionale: ma con un tipo di musica che a Cuba era quella degli abuelos, dei nonni. Il fenomeno si è nutrito anche proprio di una narrazione che ha presentato il mondo musicale di Buena Vista come vittima di un malinconico oblio, e il cd come il suo riscatto. In realtà la musica rappresentata da Buena Vista non era stata affatto dimenticata: la si ascoltava alla radio e alla televisione e veniva suonata nelle Case della Cultura e nei locali popolari. Semplicemente era la musica di un’altra epoca, in un’isola che musicalmente non si è mai fermata. Per stare solo al dopo-Rivoluzione, c’è stato il filone della nueva trova e la modernità di cantanti-poeti come Silvio Rodriguez e Pablo Milanés, il jazz innovativo di Irakere, un gruppo come Los Van Van che ha spopolato grazie alla sua capacità di coniugare la tradizione (rivisitando il formato della charanga) e lo spirito dei tempi, e a tutto questo va aggiunta anche la rumba, valorizzata dopo la Rivoluzione e da musica dei bassifondi assurta ad aspetto nobile della cultura cubana.

Quando uscì Buena Vista Cuba stava vivendo il calvario del periodo especial: il momento in assoluto peggiore della crisi fu toccato probabilmente nel ’94, ma proprio nel ’92-94, mentre i frigor erano spettralmente vuoti, raggiungeva il suo massimo fulgore il fenomeno della timba, un genere da ballo sofisticato e al contempo plebeo che fece furore soprattutto fra i giovani neri e mulatti dell’Avana. Con protagoniste ampie orchestre, in testa NG La Banda (NG stava per nueva generación), la timba proponeva lussureggianti, sensuali arrangiamenti di grande originalità e di notevole virtuosismo jazzistico, forte evidenza delle percussioni afrocubane, e nei contenuti una vena spregiudicata che esprimeva la fase e in cui i giovani si rispecchiavano: superbamente e inconfondibilmente cubana (impossibile scambiarla per salsa newyorkese), la timba, e in particolare NG, rappresentava l’Avana profonda, proletaria, nera e mulatta, l’orgoglio dei barrio popolari. Ma è stata una stagione breve, e rapidi sono stati il declino e la perdita dell’energia creativa, a cui sono seguiti meno felici ibridazioni con una cantilenante sensibilità rap. D’altro canto all’estero la timba non ottenne i riscontri che avrebbe meritato: non calzava con una visione nostalgica e turistica di Cuba, e poi il successo di Compay Segundo e degli arzilli vecchietti fece il resto.

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Negli anni novanta il rock era ancora una bestia rara, e ancora scottato da decenni di angherie nei confronti di una musica e di abbigliamenti e capelli lunghi bollati come controrivoluzionari: un pionieristico gruppo metal come Zeus era isolato e senza mezzi. Ma poi un po’ per volta alcune Case della Cultura cominciarono a dare spazio ai gruppi rock, e si arrivò alla creazione di una Agencia Cubana de Rock per incanalare il fenomeno. L’hip hop ha incontrato meno difficoltà: ed è nata anche una Agencia Cubana de Rap, che effettivamente in maniera abbastanza tempestiva ha aiutato l’hip hop, pur controllandolo. Ma sull’hip hop c’è stato anche un tentativo più interessante: alcuni intellettuali, giovani e meno giovani, e quadri del Partito Comunista hanno visto nell’hip hop una risorsa per contrastare la depoliticizzazione dei giovani. Ma è significativo che non esca più una rivista intelligente come Movimiento, che trattava di hip hop e reguetón con un taglio molto politicizzato, ragionamenti di livello e ampi spazio per le tematiche della razza e del ruolo e dell’immagine della donna.

Alcuni gruppi hip hop si sono sottratti all’inquadramento nell’Agencia e hanno rappresentato una reale manifestazione dell’insofferenza e della disaffezione di ampi strati giovanili, soprattutto all’Avana: e qualcuno, come Los Aldeanos, si è spinto fino al limite della aperta dissidenza, e per questo e per il suo seguito giovanile fu individuato anni fa (come poi rivelato dai media internazionali nel 2014) come il principale oggetto di un tentativo, fallito, di infiltrazione e manipolazione dell’hip hop cubano operato dall’agenzia statunitense Usaid. All’ondata dell’hip hop si è poi aggiunta quella del reguetón, che è dilagato, e che è stato additato come volgare ed esteticamente scadente: ma a ben vedere il reguetón ha preso il posto che la rumba occupava come espressione popolare di matrice africana di vitalismo, fisicità, erotismo, e che culturalizzandosi ha lasciato vuoto; e l’ha rimpiazzata anche nella condanna: anche la rumba in altri tempi era stigmatizzata come volgare e di bassa lega.

Dopo la timba, l’hip hop e il reguetón, la musica cubana non ha fino ad ora conosciuto altre tendenze chiaramente definibili: emblematico del rimescolamento di carte in corso un gruppo brillantemente eclettico come Interactivo, in cui convergono diversi musicisti che conducono anche carriere in proprio, come Yusa e Telmary.

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Quello che è certo è che a Cuba la musica mantiene una straordinaria importanza per la vita della gente. Al punto che i problemi di successione alla guida di Los Van Van, dove il compianto e carismatico Juan Formell è stato sostituito dal figlio Samuel, per molti inadeguato, sono diventati non solo una vera questione nazionale, ma anche una proverbiale metafora per ragionare (elezione del presidente? maggiore partecipazione popolare?) su un dopo-Raul ormai molto prossimo.