Come ogni anno, Volterra Teatro ha diffuso sul territorio attorno alla Fortezza molte manifestazioni collegate al festival. Del resto il titolo della rassegna di quest’anno, La città sospesa, voleva indicare anche questo, oltre alle caratteristiche naturali ed orografiche, il tessuto comunitario, l’altitudine e la solitudine, il microsistema su cui poggia oggi l’antica città etrusca. Ma sospesa è anche, come molti luoghi in Italia, la situazione economica e occupazionale, che ha alle Saline volterrane un caso limite: la multinazionale Smith Bits ha deciso di chiudere la propria fabbrica e licenziare i suoi 193 dipendenti, nonostante l’alto livello di eccellenza, e di commesse, che questa industria di punte perforanti capaci di bucare qualsiasi montagna, si sia guadagnata nel mondo. Tutta Volterra, e i paesi circostanti, sono disseminati (dalle strade a ciascun negozio) da dichiarazioni di solidarietà con i lavoratori della Smith Bits. Ma la testimonianza più calorosa e ruggente è venuta da uno spettacolo inserito nel festival e in un particolare progetto.

Archivio Zeta è una compagnia teatrale formata da due attori di solida formazione, Gianluca Guidotti ed Enrica Sangiovanni. Hanno scelto da anni di portare (e usare) il loro teatro in luoghi di forte significato, dal cimitero germanico di guerra della Futa ad altre località dell’Appennino toscoemiliano segnate da bagliori di memoria. Vi hanno portato in scena Eschilo e Ibsen, per fare due soli esempi, ma sempre rivolti dalla classicità al presente.

Quest’anno affrontano anche loro Pasolini, ma con uno dei testi più densi e fascinosi, Pilade. Anzi ne hanno realizzato ogni singolo episodio in una diversa ambientazione, attorno a Volterra, prima di tornare, per tutta la prima metà di agosto, a completarlo sulla Futa. E il momento di maggior impatto è stato certo quello svoltosi proprio dentro la fabbrica di sale, alle Saline. Una distesa bianca e polverosa, anche se ricca di sapore, dà luogo all’episodio intitolato «Campo dei rivoluzionari», ovvero la terra fertile e contraddittoria in cui avviene l’incontro tra Pilade (Guidotti) e Atena (Sangiovanni), lui perseguitato dalle nere Erinni, lei non nata da donna ma dal padre Zeus, armata della lama affilata della ragione e accompagnata dall’energia positiva delle Eumenidi.

1vis01SECONDOPEZZOpilade campo dei rivoluzionari 2 foto di S.Vaja

Pilade nel testo di Pasolini impersona proprio la posizione del poeta, la consapevolezza critica di portare la dolce memoria del passato, e insieme la coscienza dell’ingiustizia sociale presente. Differenziandosi quindi sia dal «passatismo» feroce e ancestrale di Elettra, sia dal riformismo a buon mercato (capitalistico) di Oreste. Pilade e Atena si incontrano sotto quella pioggia di sale, che cala sugli attori da due grandi «rubinetti» dal soffitto. Sale della sapienza, e della democrazia. Tanto che ai rivoluzionari di quel Campo, che accompagnano Atena con rami di ulivo e candide bandiere, basta sfilarsi la maglietta per rivelarsi tutti nel novero dei 193 della Smith.

Colpo di scena di rara potenza a teatro, anche perché Patrizio Barontini che governa dalla consolle la colonna sonora, attinge in quel crescendo a magnifiche suggestioni del Bach corale. Echeggia tangibile, anche nella risposta emotiva del pubblico, la forza del teatro di poter incidere sul nostro immediato presente , come le parole di Pasolini. E mentre la loro figlioletta (anche lei in rosso come Atena) ne suggerisce anche la purezza innocente, Sangiovanni e Guidotti hanno realizzato un discorso stringente attraverso un dispositivo di grande opera lirica. E pur nella commozione del momento, vien da chiedersi perché nessun sovrintendente li abbia chiamati a lavorare in un teatro d’opera, dove del resto i registi scoprono a grappoli, con i loro cognomi, il motivo per cui vengono chiamati: a Napoli nella prossima stagione addirittura tre, e di fila…