Ricostruendo in modo selettivo la storia della fisica dal ‘600 fino alla scoperta del bosone di Higgs, Frank Wilczeck in Una bellissima domanda Scoprire il disegno profondo della natura (Einaudi, traduzione di Simonetta Frediani, pp. 432, euro 36,00) contagia con il suo entusiasmo i lettori, facendo loro rivivere (almeno in parte) l’esperienza estetica che ha guidato e motivato la sua carriera di studioso, poi coronata dal Nobel nel 2004. È proprio tale entusiasmo che lo aiuta a rendere più plausibile la tesi fondamentale del libro, in base alla quale il confine tra scienza e arte è assai più poroso di quanto in genere non si ritenga, visto che la bellezza non è solo una nostra proiezione antropomorfica sul mondo ma è realizzata in natura.

Due elementi vanno tenuti in conto per valutare l’opera di Wilczek. Il primo è che due terzi del libro sono dedicati alla storia della meccanica quantistica. Le ragioni sono ovvie: proprio in questa teoria fisica, più che in altre, la nozione di simmetria gioca un ruolo fondamentale. Il secondo consegue dal primo: il filtro assai selettivo che ha guidato l’autore nella sua ricostruzione storica della scienza pre-Novecentesca è costituito dalla possibilità di utilizzarla per illustrare in modo più convincente la sua tesi fondamentale, introdotta sollevando una (retorica) «domanda bellissima», che dà il titolo al testo: «non è innaturale separare la nostra comprensione del mondo in parti che non cerchiamo di conciliare?»

Il tentativo di rispondere in modo positivo a questa domanda è lo scopo essenziale di Wilczek, che si avvicina molto al suo obiettivo mostrandosi conoscitore non solo della storia della pittura – il volume ha una serie di tavole molto belle che «mettono insieme» appunto matematica, fisica e arti visive – ma anche della fisiologia del nostro sistema sensoriale. È proprio quest’ultimo fattore, generalmente assente nei libri su «scienza e arte», che gli permette di evitare superficiali accostamenti tra prodotti culturali scientifici e artistici. Tenere conto di quel che accade nel nostro cervello quando percepiamo suoni e colori consente infatti a Wilczek di connettere gli ambiti rilevanti del mondo fisico con le sensazioni di piacere estetico che proviamo ascoltando un brano musicale o contemplando un quadro.

Da Galilei in poi, l’oggettività della fisica matematica e le sensazioni qualitative soggettive (il rosso) sono state considerate come irreconciliabili proprio perché caratterizzanti, rispettivamente, il freddo regno quantitativo dei numeri e il «mondo della vita» di cui parlava Edmund Husserl. Per ovviare a questa separazione, Wilczek parte da una presentazione accessibile dei processi fisici che si originano dal mondo esterno e che, tramite complicate decodifiche cerebrali, generano sensazioni qualitative di armonia e di bellezza. Per esempio, si passa da (i) una descrizione delle onde elettromagnetiche che colpiscono i nostri occhi a (ii) una descrizione accurata se pur sintetica di quel che accade nel cervello umano in risposta a questi stimoli esterni e infine (iii) si cerca di connettere i nostri stati mentali di carattere estetico a (i) utilizzando (ii) come ponte.

Analogamente, Wilczek parte dall’idea pitagorica che la musica sia una forma di matematica, e poi difende la tesi che la sensazione cosciente della bellezza relativa a un brano musicale sia dovuta all’interazione tra onde sonore e mente umana, resa possibile dalla mediazione neurale del nostro apparato acustico, che preserva caratteristiche essenziali delle onde sonore (il numero di oscillazioni nell’unità di tempo, o frequenza).
L’importanza della simmetria nella fisica e nell’arte è stata già sottolineata in testi precedenti, ma nella seconda parte di questo suo ultimo libro l’autore arricchisce il tema con esempi originali. Una simmetria di un oggetto qualunque è una trasformazione che lascia invariate le sue proprietà essenziali. Se ruotiamo di 90 gradi un quadrato attorno a un asse che passa per il suo centro, dopo la rotazione esso si sovrappone perfettamente con il quadrato prima della rotazione: la simmetria rotazionale in questo esempio è un mutamento senza cambiamento (invarianza). La simmetria non individua solo le proprietà essenziali degli oggetti fisici: come aveva già sostenuto quel gigante della fisica novecentesca che è Hermann Weyl, essa ha guidato l’uomo attraverso i secoli alla «creazione dell’ordine, della bellezza e della perfezione».

Il tema del libro genera, ovviamente, una domanda che è al centro del dibattito filosofico sulla natura del bello, e che il fisico statunitense lascia sullo sfondo, malgrado sia essenziale per il suo progetto: la bellezza è nel mondo fisico o esiste solo negli occhi di chi guarda e nell’orecchio di chi ascolta? È difficile difendere la prima ipotesi, dato che essa implica una concezione del bello del tutto indipendente dalla cultura e dal suo sviluppo. Eppure, in molti suoi passi, Wilczek sembra optare proprio per questa ipotesi, anche se non mancano omaggi alla seconda tesi: che l’autore si schieri in modo più o meno consapevole anche per la seconda tesi è provato dal fatto che la illustra insistendo sulla bellezza delle equazioni fondamentali della fisica, che unificano molte osservazioni in unico schema predittivo.

In questo caso, la bellezza non sarebbe nel mondo fisico ma solo nei prodotti della nostra mente, e sarebbe generata dal piacere che si accompagna a una comprensione più profonda del mondo fisico, ottenuta grazie a una formula che unifica molti fenomeni prima irrelati. Da questo punto di vista, l’unità tra scienza e arte difesa da Wilczek è comunque garantita dal fatto che questa sensazione di piacere «conoscitivo» è indistinguibile dalla sensazione estetica generata da oggetti artistici: si tratta comunque di elaborazioni simboliche di una realtà che ci è data ma che l’uomo trasforma con la sua creatività.

D’altra parte, a difesa della prima tesi si potrebbe sostenere che anche la nostra mente, per quanto profondamente influenzata e trasformata dalla cultura, è pur sempre nel mondo fisico, e sono complessi processi cerebrali a rendere possibile la percezione più o meno emotivamente carica del mondo esterno. Non preferiamo naturalmente un volto simmetrico a uno fortemente asimmetrico? E che l’autore non veda una differenza profonda tra bellezza della mente e del mondo si evince dal fatto che a suo parere la differenza tra l’atteggiamento della filosofia ai suoi primordi e quello della fisica moderna sta nel fatto che la seconda riesce a combinare «ambizione» e «precisione», ovvero «ideale» e «reale», in un senso assai diverso da quello cui faceva riferimento Hegel.
Per Wilczek, la filosofia dei primordi voleva spiegare in modo ambizioso tutta la Realtà partendo da pochi principi generalissimi (l’Ideale) ma senza la precisione sperimentale e la pazienza per i dettagli tipica della fisica moderna (il Reale). La fisica moderna è ugualmente ambiziosa ma dopo Galilei raggiunge i suoi risultati grazie all’unione di un elemento fornito dalla matematica («l’Ideale») con precise predizioni quantitative, che colgono il Reale. Ovvero, detto con le parole di Galileo, combinando «le sensate esperienze» con le «certe dimostrazioni»: è proprio l’armonia tra matematica e mondo che genera la sensazione del bello.