Alla fine si è convinto e ha deciso di intervenire. Ha capito che stare fuori dai giochi, come ha fatto negli ultimi giorni, poteva essere controproducente. Specie quando la posta in gioco non riguarda solo il risultato elettorale – che certo non è poco, tanto più in una regione simbolo per il M5S come l’Emilia Romagna – ma qualcosa di più. E così, dopo aver fatto capire che non avrebbe partecipato alla campagna elettorale per le regionali, a sorpresa venerdì sera Beppe Grillo si è materializzato al circolo Mazzini di Bologna dove la candidata alla presidenza della regione del movimento, Giulia Gibertoni, stava chiudendo la campagna elettorale davanti a una piccola folla di militanti e simpatizzanti. Improvvisata per davvero o no, la carambata ha avuto l’effetto di lasciare tutti stupiti.

«Sono venuto qui da solo in macchina da Genova, faccio comizietti negli autogrill», ha scherzato Grillo ripetendo una battuta già fatta a Roma durante la tre giorni del Circo Massimo. Ma stavolta c’è poco da scherzare. «Qui se prendiamo cinque consiglieri è una vittoria grandissima», ha spiegato infatti il leader.

Ed è vero. Contrariamente alle ultime due vigilie del voto, quelle delle politiche del 2013 e delle europee di quest’anno, stavolta non si sentono squilli di vittoria tra le fila grilline. In Calabria Grillo non sembra avere molte speranze, al punto che arriva ad ammettere che forse sarebbe stato perfino meglio non presentare la lista. In Emilia Romagna, invece, per l’ex comico è una sfida contro tutto e tutti. Contro l’astensionismo, che in passato ha cavalcato e che oggi potrebbe ritorcerglisi contro. Ovviamente contro Renzi, che l’ha già battuto sonoramente alle europee. Ma anche contro Salvini, l’avversario oggi forse più temuto, che gli toglie i voti e lo minaccia da vicino con la coalizione di centrodestra, tanto che potrebbe relegarlo al ruolo di terzo partito.

E infine anche contro se stesso. Sì perché Beppe sa bene che quello di oggi in Emilia Romagna è un voto che rischia di trasformarsi anche in un referendum pro o contro di lui, pro o contro la leadership sua e di Gianroberto Casaleggio che, se di sicuro non traballa, certo non è più solida come un tempo. A far paura non è tanto un’improbabile dèbacle ma il sorpasso del centrodestra, reso possibile magari proprio da un travaso di voti verso il Carroccio di Salvini. Un’eventualità che Grillo vede come il fumo negli occhi, perché segnerebbe la sconfitta della sua linea politica e riaccenderebbe le divisioni presenti nel movimento tra oltranzisti e quanti sono invece favorevoli a un dialogo, finendo inevitabilmente per riflettersi anche sui gruppi parlamentari a Roma.

Un incubo, ancora più terribile perché si concretizzerebbe in Emilia Romagna, la regione che all’ex comico ha dato le maggiori soddisfazioni ma anche i più grandi dolori. E’ qui, infatti, che il movimento ha avuto i suoi primi successi elettorali ed ha conquistato il suo primo grande Comune, la Parma guidata da Federico Pizzarotti, un tempo fiore all’occhiello del M5S e oggi più volte sul filo dell’espulsione e sospettato di essere a capo della fronda dissidente. E a Bologna ci sono state espulsioni pesanti, come quelle dei due soli consiglieri regionali, Giovanni Favia e Andrea Defranceschi.

A Genova e a Milano, c’è quindi più di un motivo per prestare la massima attenzione al risultato che uscirà dalle urne. Anche perche per i 7 dicembre «capitan Pizza», come lo chiama Grillo, ha già fissato a Parma un incontro nazionale degli aderenti al M5s. Un incontro «aperto a tutti», come ha spiegato il sindaco, che dai vertici del movimento viene però visto come la possibile nascita di una corrente «pizzarottiana» che potrebbe contare anche sull’appoggio di un cospicuo numero di deputati e senatori.

Per tutto questi motivi probabilmente alla fine Grillo ha deciso di farsi vedere l’altra sera a Bologna. Gli stessi motivi che lo hanno portato a fissare lui stesso l’asticella della vittoria alla conquista di 5 consiglieri, una soglia tutto sommato modesta se si considerano gli ultimi risultati del movimento ma che oggi, evidentemente, il leader considera difficilmente eguagliabili.