Nelle biografie occidentali di Boris Nemtsov (era nato a Soci il 9 ottobre del 1959) l’aggettivo più ricorrente è quello di «democratico». Ma le sue scelte e le sue alleanze non lo sono sempre state. Tra i fondatori della coalizione «Candidati per la democrazia» e «Russia democratica» nel 1990, nel 1991 si schierò con Eltsin contro il Gkp: come ricompensa, a capo della regione di Nizhnyj Novgorod, fu il più giovane governatore. Nel 1997-’98 fu vice premier con Cërnomyrdin e nel ’98 fondò «Russia giovane», che aderiva all’«Unione delle forze di destra», di cui è stato uno dei dirigenti insieme ad altri “riformatori” eltsiniani come Gajdar e Chubajs. Dopo la fine della «Unione di destra», nel 2008, fondò Solidarnost, di cui ora era copresidente. Con Grigorij Javlinskij elaborò il programma di privatizzazioni liberiste. Si schierò ancora con Eltsin quando questi, nell’ottobre del 1993, fece cannoneggiare il Parlamento russo. Partecipò alla cosiddetta «rivoluzione arancione» a Kiev nel 2004 e fu consigliere di Viktor Juschenko. Nel 2012 fu eletto copresidente insieme a Mikhail Kasjanov del Partito Repubblicano di Russia – Partito della libertà popolare. Dal 2013 era deputato alla Duma regionale di Jaroslav.

Si diceva che Nemtsov si apprestasse a pubblicare documenti che “proverebbero” l’intervento delle forze armate russe nel conflitto ucraino del Donbass. Se questi documenti gli fossero stati forniti dal presidente ucraino Petro Poroshenko, non è dato sapere. In ogni caso, sia Poroshenko, sia Jatsenjuk, sia Julja Timoshenko, con cui Nemtsov era in stretti rapporti, hanno espresso dolore per l’uccisione di «uno dei pochi democratici» russi.