No al Jobs Act in salsa Perugina. La Cgil giudica “irricevibile e provocatoria” la proposta di flessibilizzare i contratti avanzata dalla Nestlè, proprietaria dello storico marchio dolciario italiano. La posizione è stata ribadita ieri al congresso della Flai Cgil, a Cervia, dove erano presenti diversi delegati del gruppo alimentare svizzero. L’azienda ha specificato che “non intende abolire il tempo indeterminato”, ma secondo la Flai sussiste comunque un “alto rischio di precarizzazione” nella proposta di trasformare i contratti full time in part time.

“Così si riduce il salario, si mette a rischio il futuro di tante persone che da anni lavorano per la Perugina”, dice Marco Ballerani, che come altre 1100 persone – tra fissi e stagionali – produce cioccolatini, biscotti e caramelle nello stabilimento di San Sisto, a Perugia. Gli operai dei Baci, peraltro, già da diversi anni non hanno vita facile: da quando è iniziata la crisi, infatti, hanno dovuto tamponare i periodi di bassa produzione (primavera ed estate, quando per il caldo si arresta la vendita di cioccolata) con sempre più pesanti iniezioni di cassa integrazione e solidarietà.

Una situazione che per i conti della multinazionale svizzera si è rivelata sempre più “inefficiente”, e così nell’ultimo faccia a faccia con i sindacati, lo scorso 4 aprile, si è tentato il colpaccio: “Ci hanno detto che se volevamo confrontarci sull’integrativo di gruppo, motivo per cui ci eravamo incontrati – racconta Sara Palazzoli, segretaria Flai dell’Umbria – avremmo dovuto discutere insieme una loro proposta sulla flessibilizzazione dei contratti. A quel punto abbiamo rotto le trattative, per noi i due temi devono restare separati”.

Chi lo sa, forse stimolata dal decreto Poletti, che liberalizza al massimo i contratti a termine, la Nestlè ha pensato bene di pigiare il piede sull’acceleratore della flessibilità.

D’altronde, le lamentele delle imprese sono sempre le solite, e purtroppo i sindacati – soprattutto se lasciati soli dalla politica – per replicare hanno armi ogni giorno più spuntate: “Dicono che il dolciario con la crisi ha perso il 35% di vendite – spiega il delegato Perugina – e che in altri paesi, come per esempio in Germania, dove producono le capsule per il Nespresso, trovano condizioni migliori per investire. Su questo possiamo anche dargli ragione: è vero che da noi la burocrazia e le tasse sul lavoro sono penalizzanti, ma sulla flessibilità non ci stiamo. Abbiamo già dato”.

In effetti, dei 1100 addetti Perugina, 300 sono stagionali: vengono chiamati al lavoro solo per i periodi di “curva alta” (da fine estate a Pasqua). Degli altri 800, tutti a tempo indeterminato, circa 260 sono già part time, secondo una formula che ha fatto scuola nell’industria alimentare italiana. Sono infatti contrattualizzati per 30 ore settimanali, ma in realtà le fanno soprattutto nei periodi di “alta”: arrivando spesso anche fino a 40 o 48 ore a settimana. Tutte le ore aggiuntive a quelle base, vengono poi “smaltite” nei periodi di “curva bassa” (da aprile a fine luglio): pur restando a casa, così percepiscono comunque lo stipendio.

Il problema si pone per gli altri 540 operai: essendo full time, sono diventati un rompicapo per il gruppo, che li ritiene troppo “rigidi”, sempre meno adatti al mercato, che chiede ogni anno una stagionalità più spinta. Per questi perugini, e analogamente per i circa 400 addetti delle industrie del gelato Nestlè di Parma e Ferentino, la multinazionale chiede adesso la conversione in “altri contratti”, part time.

“Siamo disposti a confrontarci sulla stagionalità, ma niente ricatti”, hanno dichiarato ieri Flai, Fai e Uila. E da Perugia i delegati Flai spiegano la contro-proposta del sindacato: “Perugina potrebbe reinternalizzare tanti servizi che oggi dà in appalto, recuperando così alcuni posti per gli interni: negli anni passati i lavoratori erano già addetti a diverse mansioni, mica stavano solo sulle linee. Inoltre ci chiediamo che piani industriali si propongono per l’Italia: se investissero su nuovi prodotti, forse potremmo lavorare di più”. Il timore, per tutti i 4 mila dipendenti Nestlè italiani, è che la multinazionale svizzera sia sempre più intenzionata a disimpegnarsi dal nostro Paese.