Davanti all’ingresso del pub “HaSimta” di Tel Aviv, luogo venerdì pomeriggio dell’attacco con due morti e diversi feriti compiuto dal 29enne di Arara, Nashat Milhem, Benyamin Netanyahu ieri sera ha rivolto un avvertimento molto chiaro alla minoranza araba in Israele. «Non potete godere dei diritti garantiti in Israele e (allo stesso tempo, ndr) sentirvi in obbligo di essere palestinesi», ha detto il premier israeliano mentre decine di persone commemoravano le due vittime e centinaia di agenti sorvegliavano le strade del centro, effettuando perquisizioni in case ed edifici. «Apprezzo le condanne giunte dal mondo arabo – ha proseguito Netanyahu – devo però aggiungere che mi attendo adesso che i deputati arabi (alla Knesset, ndr), nessuno escluso, condannino questo omicidio disgustoso senza tentennamenti». Tutti gli arabo israeliani sono diventati responsabili dell’attentato compiuto da un solo individuo, Nashat Milhem. L’accaduto ha fornito nuove munizioni a coloro che considerano i palestinesi con passaporto israeliano (il 20% della popolazione) una “quinta colonna”, un “corpo estraneo” che minaccia il paese e da isolare.

Tel Aviv resta blindata ma dell’attentatore non c’è traccia. Riconosciuto dal padre nei filmati ripresi dalle telecamere di sorveglianza e trasmessi dalle tv locali, Milhem è sparito in pochi attimi dopo i trenta colpi che ha esploso contro il pub. È perciò possibile che abbia ricevuto aiuto immediato da uno o più complici. Ieri è stato arrestato il fratello, Jaudat, che secondo gli investigatori, è collegato all’attentato. La polizia ritiene che Nashat Milhem sia ancora a Tel Aviv ma non pochi credono che sia riuscito a lasciare la città subito dopo l’attacco. La pista privilegiata dagli investigatori resta quella di un attentato a sfondo religioso o nazionalistico, “ispirato dall’Isis”, perchè, secondo alcuni, Milhem si era «radicalizzato» negli ultimi tempi anche se alla polizia era noto solo come un criminale comune e un ex detenuto tossicodipendente. Non si esclude peraltro l’ipotesi di una vendetta e si tiene in considerazione anche il fatto che il pub “HaSimta” è frequentato dalla comunità Lgbt. Ad infittire la nebbia intorno all’attacco di venerdì c’è anche il ritrovamento, sempre a Tel Aviv, del cadavere di un tassista arabo israeliano, assassinato vicino alla propria autovettura in circostanze oscure poco dopo l’attentato al pub. Una vicenda sulla quale la magistratura ha ordinato alla stampa di non divulgare tutti i particolari in suo possesso.

Lo “sparatore sparito” ha fatto passare in secondo piano i funerali più imponenti tenuti in questi ultimi anni nei Territori palestinesi occupati. Migliaia di persone hanno partecipato ieri alla moschea al Hussein di Hebron ai riti funebri per 14 palestinesi uccisi dalle forze israeliane negli ultimi tre mesi, dall’inizio dell’Intifada di Gerusalemme. Tutti vivevano nella città della Tomba dei Patriarchi e sono parte dei 23 corpi di palestinesi – responsabili di attacchi veri e presunti – che Israele ha trattenuto per settimane, in un caso per 80 giorni (Basel Sadr, 20 anni, ucciso il 14 ottobre a Gerusalemme), nel quadro delle misure punitive volte a mettere fine all’Intifada riesplosa a inizio ottobre in Cisgiordania e nel resto dei Territori occupati. Negli ulltimi tre mesi sono stati uccisi 138 palestinesi e le autorità israeliane stanno ora consegnando i corpi degli uccisi alle famiglie per allentare la tensione. Sarebbero ancora 17 i cadaveri di palestinesi nelle mani di polizia ed esercito, 15 dei quali di abitanti di Gerusalemme Est.

Oscurata dalle crisi e dalle guerre che devastano il Medio Oriente, a cominciare da quelle in Siria e nello Yemen, la questione palestinese resta ai margini dell’interesse dei mezzi d’informazione internazionali. Ma l’occupazione militare israeliana continua e con essa la nuova Intifada. E in questo contesto non vanno dimenticati o sottovalutati i rischi che anche i giornalisti locali corrono per riferire quanto accade ogni giorno sul terreno. Venerdì a Kufr Qaddum, dove da anni gli abitanti lottano contro il Muro di separazione israeliano e per riaprire strade chiuse dall’esercito, un reporter del tv palestinese, Anal al Jaada, è stato ferito seriamente a una gamba da un proiettile rivestito di gomma sparato dai soldati durante una incursione nel villaggio. Ancora venerdì scontri violenti con i militari sono avvenuti a Bilin, un altro dei villaggi dove proseguono le proteste contro il Muro. A Bilin i manifestanti, tra i quali attivisti stranieri e israeliani, hanno issato poster di Jawaher Abu Rahmeh, morta soffocata dai gas lacrimogeni durante una protesta nel 2011, due anni dopo l’uccisione di altro membro della sua famiglia, Bassem, colpito in pieno petto da un candelotto lacrimogeno sparato ad altezza d’uomo.