Non sono stati accertati, almeno fino a ieri sera, legami tra lo Stato Islamico e Fadi al Qunbar. L’unico collegamento tra l’Isis e il palestinese che domenica, nella colonia israeliana di Armona HaNetsiv, nella zona Est di Gerusalemme, alla guida di un camion si è lanciato contro un gruppo di soldati uccidendone quattro e ferendone 16, restano i post nel suo account su Facebook in sostegno del Califfato. Ciò non ha frenato il primo ministro Netanyahu dallo spiegare subito l’attacco come un’azione dell’Isis, simile agli attentati con pesanti automezzi avvenuti a Nizza e Berlino. «Gli elementi raccolti finora dicono che l’autore è un sostenitore dello Stato Islamico. Sappiamo che c’è un filo comune di attentati e certamente può esserci un legame con la Francia e Berlino e adesso Gerusalemme», ha commentato il premier domenica sul luogo dell’attacco. E ieri media, politici ed esperti hanno dato credito alla tesi di Netanyahu malgrado la debole consistenza dell’ipotesi.

L’Isis per almeno quattro anni ha mostrato scarso interesse nei confronti di Israele. Certo i gruppetti salafiti di Gaza e i jihadisti nel Sinai, che si proclamano affiliati al Califfato, hanno lanciato qualche razzo verso il Neghev. Di recente un paio di missili sono stati sparati dalla Siria meridionale verso il Golan occupato da Israele. E alcuni militanti dell’Isis sono stati individuati tra i palestinesi con cittadinanza israeliana. Però è evidente che l’interesse prioritario dello Stato Islamico resta quello di mantenere il controllo delle città e dei territori siriani e iracheni che occupa e di combattere contro gli “sciiti” al potere a Damasco e Baghdad. I palestinesi negano il coinvolgimento dell’Isis. Dicono che quello di al Qunbar è stato un attacco contro l’occupazione militare. Lo dimostrebbe l’obiettivo: soldati e non civili. Un volantino apparso ieri, firmato da un gruppo sino ad oggi sconosciuto, “Brigate Martire Baha Alian”, nega l’appartenza di Fadi al Qunbar, «ad alcun gruppo attivo fuori della Palestina» e sostiene che «l’occupazione (israeliana) mente quando afferma il contrario, allo scopo di denigrarci».

Per il gabinetto di sicurezza israeliano invece non ci sono dubbi: la regia dell’attacco a Gerusalemme è l’Isis. Questa linea ha un evidente riflesso politico e diplomatico. Netanyahu, che nega la tesi dell’occupazione israeliana come causa del conflitto in Medio Oriente, da alcuni anni, in particolare dagli attacchi a Charlie Hebdo in Francia, ripete di non vedere alcuna differenza tra il terrorismo che colpisce l’Europa «e il terrorismo palestinese». E mette sullo stesso piano l’Isis e il movimento islamista palestinese Hamas – che ha approvato ma non rivendicato l’attacco con il camion a Gerusalemme – che pure ha avuto la sua genesi in un contesto storico profondamente diverso da quello attuale, durante la prima Intifada contro l’occupazione, trent’anni fa. Gli editorialisti vicini al governo nelle ultime ore non hanno mancato di puntare l’indice contro il Consiglio di Sicurezza dell’Onu che il mese scorso ha approvato, grazie alla storica decisione degli Stati Uniti di non porre il veto, una risoluzione che ribadisce lo status di territori occupati per Cisgiordania, Gaza e Gerusalemme Est e la illegalità delle colonie israeliane. Per gli israeliani quella risoluzione avrebbe istigato nuovi attentati. Si avvicina inoltre la conferenza internazionale di Parigi del 15 gennaio sul conflitto israelo-palestinese. Il governo Netanyahu la teme perché potrebbe chiudersi – ma è improbabile – con l’approvazione di scadenze precise per la proclamazione concreta sul terreno dello Stato di Palestina. Dopo l’attacco ad Armona HaNtesiv Israele si prepara a ripetere ai Paesi che vi prenderanno parte, oltre 70, che «il problema non è l’occupazione ma il terrorismo».

L’uccisione dei quattro soldati ha ridato slancio ai tanti che in Israele, anche alcuni ministri e deputati, protestano contro la condanna per omicidio colposo che la corte militare di Tel Aviv ha inflitto al soldato Elor Azaria che lo scorso marzo a Hebron uccise a sangue freddo un assalitore palestinese ferito. Secondo Eitan Rond, l’israeliano che per primo ha sparato contro Fadi al Qunbar, i soldati presenti non avrebbero aperto il fuoco subito perché timorosi di affrontare procedimenti penali, come accaduto ad Azaria. Le sue parole hanno avuto un forte impatto sull’opinione pubblica e, di nuovo, si levate alte le voci a favore della liberazione immediata del soldato condannato (che tra una settimana conoscerà la sua pena). Le indagini comunque hanno rivelato che i soldati presenti hanno sparato subito verso il camion e, infatti, ieri Netanyahu li ha ringraziati.

Ieri si sono svolti i funerali dei quattro soldati israeliani, tre donne e un uomo. A Gerusalemme la polizia ha “chiuso” Jabel el Mukaber, il quartiere di Gerusalemme Est dove viveva Fadi al Qunbar e arrestato nove persone, tra le quali cinque suoi familiare. La sua casa sarà demolita e il corpo non sarà restituito alla famiglia.