A Beit Hanun cercano di mantenere la calma. O almeno è questo che ci dice al telefono Sari, amico di un collega di Gaza, al quale abbiamo telefonato per saperne di più. «Non è facile, la paura è tanta. Abbiamo ancora negli occhi le scene di Piombo fuso», aggiunge. Tutto è cominciato con una telefonata di una cooperante italiana, che abbiamo ricevuto mentre tornavamo da Khan Yunis, colpita durante la notte di mercoledì da pesanti bombardamenti israeliani e dove per gran parte della giornata si sono svolti i funerali delle vittime dei missili, quasi tutte civili e tra loro tante donne. La cooperante ci dice con tono preoccupato di aver saputo che l’esercito israeliano sta inviando sms agli abitanti di Gaza che vivono nei pressi del confine, ad est e a sud, per esortarli a lasciare subito le loro case perchè sta per cominciare la tanto temuta invasione di terra. E’ una mossa psicologica, volta a creare panico? Ci rivolgiamo perciò a Sari che vive in uno dei centri abitati vicini alla linea di demarcazione tra Gaza e Israele. «Gli sms e le telefonate di avvertimento sono vere – riferisce – ma non sappiamo se sia davvero intenzione di Israele di invadere Gaza. Hamas ci dice di non lasciare le nostre case, che è una mossa per terrorizzarci. La mia famiglia però esita, teme il peggio».

E lo teme anche l’Unrwa, l’agenzia dell’Onu che assiste i profughi palestinesi. Ha già predisposto un piano di riapertura delle scuole per accogliere migliaia di sfollati. Il suo portavoce, Chris Gunnes, non nasconde una profonda preoccupazione. «Le voci di una operazione di terra, ci spiega, potrebbero, nel giro di qualche ora, creare un’ondata di sfollati e noi dobbiamo essere pronti». L’Unrwa perciò ha proclamato lo stato di emergenza nelle cinque aree di intervento a Gaza. A Beit Hanun, Beit Lahiya e, più a sud, a Rafah, la gente prova a non farsi prendere dal panico. Eppure il ricordo dei carri armati israeliani dentro Gaza nei primi giorni del 2009 è ancora vivo tra la gente che vive in quelle zone a rischio. Non poche famiglie, o almeno quelle che hanno un amico o un parente che abita nelle zone vicine al mare, si sta già muovendo alla ricerca di un luogo più sicuro dove vivere nelle prossime settimane. Ammesso che la costa sia più sicura: la Marina israeliana presidia quel tratto di mare e spesso apre il fuoco. E’ un esodo per ora poco visibile ma in atto almeno da mercoledì. Il trauma mai superato di “Piombo fuso” si ripresenta. E in queste ore il ricordo di tanti torna alla famiglia al Samouni, decimata (49 morti) dalle truppe israeliane entrate a Gaza in quei giorni del gennaio 2009. Un bagno di sangue descritto in tutti i suoi particolari dai vari rapporti internazionali, a cominciare da quello redatto dalla commissione d’indagine Goldstone, che non hanno mai previsto punizioni vera per ufficiali e soldati dalla Brigata “Givati”, responsabili di quel massacro.

Dall’altra parte del confine i comandi militari radunano uomini e mezzi e, soprattutto, continuano la mobilitazione dei riservisti sotto l’onda della pressione di centinaia di migliaia di israeliani finiti nel raggio di azione dei razzi palestinesi. Che non hanno fatto vittime, anche quelli più potenti come gli M360 e gli M75, ma fanno paura e sono in grado di raggiungere persino Haifa, a circa 150 km da Gaza. E perfino nelle vicinanze dell’impenetrabile centrale nucleare di Dimona dove Israele, secondo fonti internazionali, produce il plutonio per il suo arsenale atomico segreto. Ieri le sirene di allarme sono risuonate di nuovo in diverse città israeliane (oltre 100 i razzi lanciati da Gaza). Anche a Gerusalemme, per quattro razzi: due sono stati abbattuti dalla difesa antimissile e gli altri due sono caduti in aree disabitate. Fermato inoltre sulla superstrada numero 5 in Cisgiordania un palestinese accusato di voler compiere un attentato. Secondo la stampa locale, l’uomo, dopo un primo interrogatorio, avrebbe confermato la sua intenzione di colpire per vendicare le vittime di Gaza.

Una tregua non è in agenda, fa sapere il premier Netanyahu. “Barriera Protettiva” va avanti. Droni, elicotteri e F-16 ieri hanno effettuato decine e decine di raid uccidendo tre miliziani della Jihad islamica e diversi civili. Israele a un certo punto ha anche annunciato l’uccisione di Ayman Siam, comandante militare di Hamas e, pare, responsabile del programma di armamento del movimento islamico. Poco dopo le Brigate Ezzedin al Qassam hanno smentito categoricamente la notizia. Ma è soprattutto con l’arrivo dell’oscurità, di notte, che l’aviazione e la marina di Israele sferrano i colpi più duri. Il conto lo pagano i civili. Ieri a Khan Yunis decine di persone, dagli adulti ai bambini, scavavano tra le rovine per ritrovare ancora in vita i dispersi della strage causata da un missile sganciato da un caccia israeliano contro la casa della famiglia al Haj, di fatto sterminata. Asmaa, Tareq, Najlaa, Amna, Saad, Omar, Basma e Mahmud, questi i nomi degli uccisi. Per quale motivo? Nessuno riesce a spiegarselo. Gli al Haj non sono noti come una famiglia affiliata ad Hamas, solo uno dei suoi membri, ci raccontava ieri un vicino, fa parte del movimento islamico ma senza alcun incarico di rilievo. Qualcuno ipotizzava che il missile sganciato dal cacciabombardiere israeliano avrebbe mancato il vero bersaglio. Gli otto al Haj – tra cui quattro donne – sarebbero stati fatti a pezzi perchè il postino della morte avrebbe sbagliato indirizzo. Un “tragico errore”. E all’indirizzo errato sarebbero arrivate anche altre bombe israeliane, quelle che hanno fatto strage delle famiglie Qanan, Sawali e Astal. E non possono certo essere considerati “attacchi chirurgici” quelli che hanno ucciso Abed al Rahman Khattab, 8 anni, Ramadan Abu Gazal, 5 anni, e Meriam Al Arja, 11 anni.

A quanto pare anche guardare una partita di calcio potrebbe essere identificato come un atto di terrorismo. Al Fun Time Beach di Khan Yunis mercoledì notte decine di appassionati stavano seguendo i dribbling di Messi in Argentina-Olanda quando in mare in lontananza è apparsa un’unità da guerra israeliana che ha sparato un razzo, centrando il caffè affollato di gente. Nove appassionati di calcio, tra i quali alcuni bambini, sono stati uccisi sul posto. Per quale motivo? Non si sa. Comunque la Marina israeliana l’altra notte ha aperto il fuoco lungo tutta la costa, anche sul porto di Gaza city, in risposta, pare, ai ripetuti tentativi degli “uomini rana” di Hamas di infiltrarsi nella base di Zikim, sul mare appena oltre le linee di demarcazione con Israele. In serata il bilancio ufficioso complessivo di tre giorni di offensiva israeliana a Gaza è salito ad almeno 87 morti e 620 feriti.

Intanto l’Egitto, forse perchè preoccupato da un possibile sfondamento del confine con Gaza da parte di palestinesi in fuga dai bombardamenti israeliani, sembra più disposto rispetto a qualche giorno fa ad avviare una mediazione per fermare la guerra. E ha anche annunciato la riapertura del valico di Rafah. Che però si è rivelata solo un annuncio. Prima la speranza, poi l’amara delusione per i feriti palestinesi. Dieci di loro, particolarmente gravi, hanno raggiunto in ambulanza il valico ma ad attenderli non hanno trovato i “fratelli egiziani” pronti ad aiutarli ma lungaggini burocratiche. E alla fine la maggior parte sono stati respinti. Solo due sono stati autorizzati a passare.