Furono 25 le standing ovation che lo scorso 3 marzo il Congresso Usa tributò a Benyamin Netanyahu. Un applauso infinito all’attacco frontale portato dal premier israeliano in terra americana al presidente Barack Obama “colpevole” di avere scelto di non continuare lo scontro con l’Iran e di arrivare all’accordo internazionale sul programma nucleare di Tehran siglato a metà luglio a Vienna. Il premier israeliano ha mobilitato i suoi tanti alleati negli Usa, la potente lobby filo Israele Aipac, le associazioni cristiane sioniste e molti altri nel tentativo di silurare l’approvazione, con un voto previsto questo mese, delle intese di Vienna. Sei mesi dopo quelle 25 standing ovation è proprio Netanyahu a subire la sconfitta umiliante che avrebbe voluto infliggere ad Obama. Il Congresso non gli permetterà di affondare le intese con l’Iran. Ieri la senatrice Barbara Mikulski, con una decisione destinata a passare alla storia, ha annunciato il proprio sostegno all’Amministrazione, garantendo al presidente l’ultimo voto necessario per mettere al sicuro l’intesa con Tehran. Si tratta del 34esimo voto a favore in Senato. Un numero sufficiente per impedire ai Repubblicani di aggirare il veto presidenziale a una bocciatura dell’accordo da parte del Congresso, per cui servirebbe la maggioranza in Aula dei due terzi. «Nessun accordo è perfetto, specialmente se negoziato con il regime iraniano, ma questa è la migliore opzione disponibile per impedire a Tehran di avere una bomba nucleare», ha dichiarato Mikulski usando parole pronunciate tante volte da Obama per persuadere proprio Netanyahu e tutti quelli che si oppongono all’accordo.

 

Ora l’Amministrazione Usa proverà a raccogliere l’appoggio di 41 dei 46 senatori democratici, per bloccare il voto contrario del Congresso all’accordo ed evitare ad Obama di dover ricorrere al veto, un’eventualità che metterebbe in imbarazzo la Casa Bianca con i partner internazionali. La maggior parte dei parlamentari americani – i Repubblicani tutti – si oppongono all’accordo e alla revoca delle dure sanzioni economiche che l’Iran ha dovuto affrontare in questi anni. Tuttavia, almeno per il momento, soltanto due senatori democratici si sono espressi contro l’intesa, Chuck Schumer e Robert Menendez, e con loro una manciata di democratici alla Camera. Tuttavia più i Repubblicani si mostreranno compatti nell’attacco ad Obama, prevedeva ieri sul quotidiano Haaretz Peter Beinart, tanto più i Democratici sceglieranno di non ostacolare la politica estera del presidente e compagno di partito. L’alleanza di ferro che Netanyahu ha stretto con i Repubblicani, notava ancora Beinart, sta avendo riflessi negativi sulle capacità della lobby filo israeliana Aipac di attirare esponenti politici liberal e progressisti.

 

«Credo che il modo più veloce per arrivare ad una vera e propria corsa agli armamenti in Medio Oriente sia quello di non ratificare questo accordo», ha commentato in un’intervista il segretario di stato John Kerry «Senza questa intesa l’Iran ha già chiarito quale sarà la sua direzione – ha precisato – Non c’è una singola frase o paragrafo in tutto l’accordo che dipende dalle promesse o dalla fiducia. Nessuna. Con l’accordo il mondo è più sicuro». Netanyahu da parte sua non ha commentato le notizie che giungevano dagli Stati Uniti. Il disappunto però deve essere stato forte, considerando l’impegno profuso dal premier che fino a poco fa cullava il sogno di infliggere, nel cuore del sistema politico ed istituzionale americano, una batosta clamorosa allo scomodo alleato Obama. Si è fatto sentire invece su questioni interne, annunciando pesanti misure repressive contro i palestinesi che attaccano con pietre e molotov le automobili dei coloni israeliani e i veicoli dell’Esercito che transitano nella Cisgiordania occupata, incuranti del recente inasprimento delle pene (fino a 20 anni di carcere) per chi scaglia sassi. Il primo ministro ha ordinato di aumentare in modo massiccio la presenza di polizia e guardia di frontiera a Gerusalemme e lungo la strada 443, che in parte corre all’interno della Cisgiordania. E sta valutando, scrivevano ieri i media israeliani, anche di allentare le regole d’ingaggio in modo da permettere ai soldati di fare subito fuoco, senza esitazioni, contro chi lancia pietre o bottiglie Molotov. «La nostra linea – ha spiegato Netanyahu- è tolleranza zero». E si può essere certi che sarà davvero così, non come la «tolleranza zero» che il premier aveva proclamato un mese fa nei confronti degli estremisti di destra israeliani responsabili del rogo nel villaggio di Kfar Douma in cui è arso vivo il piccolo palestinese Ali Dawabshah e ha trovato la morte suo padre Saad.