Per un’agenzia di stampa italiana Benyamin Netanyahu, messo sotto pressione, avrebbe ceduto alla ministra degli esteri dell’Ue Federica Mogherini e proposto il rilancio dei colloqui con i palestinesi. Questa agenzia ha mancato un punto fondamentale. Il premier israeliano i negoziati non vuole riprenderli a partire dai confini del 1967 bensì da quelli degli insediamenti colonici costruiti a Gerusalemme Est e in Cisgiordania in violazione delle leggi internazionali. In sostanza Netanyahu, senza trattativa, ha già annesso a Israele ampie porzioni della Cisgiordania e vuole negoziare con l’obiettivo di ottenere altre parti dei territori palestinesi. Immediata la reazione dell’Olp. «Le frontiere che devono essere fissate sono quelle dello Stato della Palestina internazionalmente riconosciuto sui confini del 1967: la colonizzazione deve essere fermata e non legittimata», ha avvertito il capo dei negoziatori palestinesi Saeb Erekat.

 

Stando a quanto riferiva ieri il quotidiano Haaretz, nell’incontro della scorsa settimana con Mogherini il premier israeliano ha detto che l’obiettivo è di arrivare a un’intesa sui confini degli insediamenti colonici che Israele intende annettersi nell’ambito di qualsiasi accordo con i palestinesi. Haaretz ha aggiunto che è la prima volta, da quando è primo ministro, che Netanyahu esprime la volontà di discutere dei confini delle colonie. Vero, ma pone come condizione il riconoscimento delle colonie, illegali per il diritto internazionale. «È chiaro che queste zone rimarranno sotto controllo israeliano in un eventuale accordo, come è altrettanto chiaro che ci sono aree che rimarranno sotto controllo palestinese», avrebbe affermato Netanyahu durante il colloquio con Mogherini.

 

Siamo di fronte alla soluzione più gradita a Tel Aviv: Israele si prende tutta l’ampia area che occupano le colonie e altre porzioni della Cisgiordania, l’intera Gerusalemme e il controllo per un paio di decenni della Valle del Giordano. I palestinesi si tengono le loro città e un po’ di aree sparse densamente popolate alle quali Israele rinuncia con grande piacere. Una soluzione inaccettabile anche il palestinese più accomodante. Se il premier israeliano vuole negoziati «significativi – ha commentato Erekat – deve mettere fine all’occupazione iniziata nel 1967, riconoscere uno Stato palestinese basato sui confini del 1967, e onorare gli obblighi di Israele, tra cui lo stop alla costruzione degli insediamenti e la liberazione dei prigionieri palestinesi».

 

Il primo ministro israeliano lo sa bene ma aveva bisogno di agitare un po’ le acque per migliorare l’immagine del suo governo fondato sull’alleanza tra destra radicale e religiosi. Un esecutivo che dell’appoggio alla colonizzazione dei Territori occupati fa un suo pilastro. Anche esponenti politici locali sconosciuti all’estero sono diventati in questi anni un punto di riferimento per i coloni perchè coniugano militanza, sionismo e religione. Tra questi c’è il consigliere comunale di Gerusalemme Aryeh King. Residente da 17 anni nella colonia di Maale Zaitim – costruita nel quartiere palestinese di Ras al Amud – King si prepara a fare un “regalo” strategico al movimento dei coloni. Il consigliere comunale dell’ultradestra afferma di avere acquistato tre anni fa il complesso di una chiesa abbandonata nei pressi del campo profughi palestinese di Aroub, sulla strada che da Betlemme porta ad Hebron, a qualche km di distanza dal blocco degli insediamenti ebraici di Etzion. In quel luogo, ha annunciato King, sorgerà un nuovo avamposto colonico che, al più presto, ospiterà almeno 20 famiglie di settler. La mossa è strategica. Al momento vi è una sola colonia israeliana, Karmei Tzur, tra il blocco di Etzion e Hebron. La nascita del nuovo insediamento perciò significherebbe continuare verso sud-ovest l’espansione coloniale, ad ulteriore danno dello Stato che i palestinesi intenderebbero proclamare nei Territori occupati.

 

A rallegrare ulteriormente i coloni ha contribuito la scorsa settimana un altro esponente della destra israeliana. Si tratta della vice ministra degli esteri, Tzipi Hotovely, del Likud, il partito del primo ministro. Hotovely, a quanto pare, considera la Torah (il Pentateuco) non un testo religioso ma un trattato internazionale per la spartizione del Medio Oriente. Citando Rashi – il famoso rabbino Shlomo Yitzhaki morto nel 1099 – ha detto a 106 diplomatici israeliani «che la Torah si apre con la storia della creazione del mondo cosicché, nel caso in cui le nazioni dovessero dirvi che voi siete degli occupanti, possiate rispondere che tutta la terra appartiene al Creatore e che, quando ha voluto, ce l’ha data». La comunità internazionale – ha continuato – «agisce sulla base di parametri di giustizia e moralità. Noi dobbiamo ritornare alla verità fondamentale del nostro diritto a questa terra, tutta questa terra è nostra e non dobbiamo scusarci».