Fanciulle in bianco danzano sulle malinconiche rive di un lago di lacrime, un Principe cerca l’amore fuori dalla quotidiane regole di Palazzo, un inganno distrugge il sogno degli eroi lirici del racconto. Fascino imperituro de Il lago dei cigni che dal 2016 ha una nuova versione di riferimento: quella firmata al Teatro alla Scala, e nata in coproduzione con l’Opernahaus di Zurigo, da Alexei Ratmansky, coreografo residente dell’American Ballet Theatre di New York dal 2009, alle spalle la direzione del Bolshoi di Mosca.

Come già per La Bella Addormentata nel bosco, Ratmansky anche per Il lago dei cigni riporta in vita l’edizione originale del balletto andato in scena al Teatro Mariinskij di San Pietroburgo nel 1895 con la coreografia di Marius Petipa e Lev Ivanov sulla partitura preesistente di Ciaikovskij. Tra le fonti, i quaderni della notazione Stepanov custoditi all’Università di Harvard, nei quali sono salvati circa 20 balletti dell’epoca di Petipa. Passi, altezza e direzione delle gambe, movimenti della testa, caratteristiche della tecnica usata a fine Ottocento, tutto è annotato, a vantaggio della riscoperta di uno stile perduto.
Il lago di Ratmansky apre riflessioni su come il balletto sia cambiato nel tempo. La danza è intrecciata al gesto pantomimico con una coerenza espressiva che fa comprendere perché all’epoca di Petipa una ballerina di grande tecnica, ma non convincente nella pantomima, non potesse essere considerata una stella. Nel secondo quadro del primo atto, l’entrata di Odette, al debutto la carismatica prima ballerina della Scala Nicoletta Manni, si apre con un dialogo tra gesto espressivo e balletto rivelatore del dolore della giovane per la propria sorte, dell’innamoramento per lei del Principe Siegfried, il principesco, talentuoso 22enne Timofej Andrijashenko, del terrore suscitato dal Mago Rothbart.

Se Odette è lirica, Odile (la stessa Manni) sfodera non tanto il diabolico potere seduttivo a cui ci ha abituato la tradizione, ma l’allegra capacità femminile di suscitare amore. I cigni di Ratmansky sono più femminili del solito, capelli raccolti in una coda, tutù che sembrano gonne, sparizione del famoso port de bras umyvanie che indica l’asciugarsi il volto dall’acqua, introdotto nel Novecento dalla Vaganova. Si perde un po’ il tema dello sdoppiamento tra cigno e donna che ha fatto la fortuna del Lago, ma nessuno intende eliminare le altre versioni, come la bellissima di Nureyev, solo aprire il confronto riscoprendo le origini.
Ratmansky recupera anche altri aspetti chiave.

La musica di Ciajkovskij, diretta con sentimento da Michail Jurowski, segue i veloci tempi originali della partitura, in sintonia con un virtuosismo coreografico tutto da scoprire. Non ci sono le gambe estese a 180° tipiche di oggi, che richiedono tempi più lenti, ma incredibili minuzie, rapidissimi passés al polpaccio, deboulés in mezza punta, batterie e pirouettes fulminanti. Un disegno sofisticato che si abbina alle linee arrondate dei port de bras, alle inclinazioni della testa, ai civettuoli épaulements. Il tutto inserito in articolate formazioni di insieme, come il trascinante valzer del primo atto con cestini, fiori e sgabelli, l’Adagio di Odette, Siegfried e Benno (il bravo Christian Fagetti) circondato dai cigni, il tragico quadro finale con i cigni bianchi e neri.

Di grande effetto per disegno e colori scenografie e costumi di Jérôme Kaplan ed ottima prova per il Corpo di Ballo della Scala. Repliche fino al 15 con in alternanza Manni/Andrijashenko, la commovente Vittoria Valerio con Claudio Coviello, Martina Arduino e Nicola Del Freo.