Ripubblichiamo per gentile concessione del sito specializzato Planetmountain questa intervista al climber americano Kevin Jorgeson, famoso per la prima libera della Dawn Wall su El Capitan a Yosemite (insieme a Tommy Caldwell nel gennaio 2015), che sta per intraprendere un viaggio di due settimane sull’isola greca di Lesbo insieme alla sua fidanzata Jacqui Becker. I due lavoreranno come volontari per aiutare i migranti in fuga dalla guerra e dalla povertà.

 

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Kevin Jorgeson si riposa appesa sul muro dell’alba (Dawn Wall) di Yosemite durante il primo tentativo di scalata in libera

 

«Hai presente quella sensazione di paura ed eccitazione quando stai per iniziare una nuova avventura? In questo momento la sento alla grande. Per una volta l’obiettivo non è legato all’arrampicata ma a cercare di aiutare gli altri. Fra una settimana Jacqui ed io andremo ad aiutare gli uomini, le donne e i bambini che arrivano sulle coste di Lesbo, in Grecia, in cerca di un futuro più luminoso. Non posso cambiare le cause principali di questa crisi umanitaria ma posso fare una piccola differenza nelle vite di coloro che sono più colpiti». Questo testo, pubblicato due giorni fa da Kevin Jorgeson – uno dei migliori climber statunitensi – ovviamente non poteva essere ignorato.

Kevin, prima di tutto complimenti per questa vostra decisione di andare in Grecia per portare aiuto ai migranti. Ci puoi raccontare come è nata?

Lo scorso agosto, il mio buon amico Brad Parker è caduto mentre arrampicava in solitaria a Tuolumne. Questa perdita mi ha scosso profondamente. E ha scosso radicalmente tutta la nostra comunità di climber. Il dolore mi ha portato ad avere seri dubbi circa il mio impegno per la Dawn Wall, al punto che la scorsa stagione quasi quasi non sarei nemmeno più tornato in parete. Quando il nostro dolore collettivo ha cominciato ad alleviarsi, la nostra comunità ha creato un’associazione no-profit nel nome di Brad chiamata B-Rad Foundation. Questa fondazione è costruita sui principi a cui Brad ha dedicato la sua vita. Una delle cose che ha sempre trasmesso, sia verbalmente sia attraverso le sue azioni, era: fate qualcosa che conta.

Poi c’è stata la tua Dawn Wall

Dopo quella salita mi sono trovato sempre più spesso coinvolto con organizzazioni che aiutano le persone che hanno bisogno di aiuto. Come climber, gran parte della mia attenzione è focalizzata sui miei progetti personali. Era importante per me quindi trovare un equilibrio tra ciò che voglio ottenere come atleta e quello che voglio fare come essere umano. Così ho partecipato a raccolte di fondi per organizzazioni come l’Unicef e Outward Bound qui a San Francisco. Sono orgoglioso di quel lavoro ma alla fine dell’anno scorso Jacqui e io abbiamo cominciato a vedere queste immagini orribili provocate dalla crisi dei rifugiati. La maggior parte di queste immagini venivano dalle spiagge di Lesbo, in Grecia. Non abbiamo potuto fare a meno di renderci conto che stavamo assistendo alla peggiore crisi umanitaria della nostra generazione.

 

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E così…

Un nostro caro amico, Sheldon, ha lasciato la sua famiglia durante le feste del Thanksgiving e di Natale per lavorare come volontario a Lesbo. Sheldon è stato un grande esempio e ci ha ispirati a fare di più che donare fondi. Quando è tornato e ha condiviso con noi la sua storia, abbiamo iniziato a progettare questo viaggio. Il mio modo di pensare è simile a quando stavo lottando sul 15mo tiro della Dawn Wall un anno fa: non volevo essere il tizio che era «quasi» arrivato in cima. Non avrei potuto vivere con quel ricordo. E anche adesso non voglio guardare indietro, a questa situazione dei rifugiati, e sapere che avrei potuto fare qualcosa ma che non l’ho fatto. Siamo in buona salute, capaci, e abbiamo tempo per viaggiare. Non abbiamo scuse. Ancora più importante, sentiamo che è la cosa giusta da fare. Perché ciò che facciamo conta.

Come vi sentite adesso? E di cosa avete paura?

Mi sento in modo molto simile a quando ero in macchina, verso Yosemite, per iniziare il tentativo finale sulla Dawn Wall: eccitato, intimidito, nervoso, concentrato. Non vedo l’ora di arrivare a Lesbo, essere coinvolto, fare una piccola differenza. Sono preoccupato per quello che vedremo, di non poter essere di aiuto, per le barriere linguistiche o altro. Stiamo portando 1.000 coperte d’emergenza di Adventure Medical Kits, che ringrazio per il sostegno.

Le difficoltà, per chi scappa dalle guerre e da situazioni di estrema povertà, sono è immense.

E’ facile sentirsi impotenti di fronte a un conflitto e una crisi così enorme. So che da solo non potrò influenzare in alcun modo i motivi alla base di questa crisi. Con questo viaggio non vogliamo prendere le parti di nessuno né fare una dichiarazione politica. Questi uomini, donne e bambini fuggono dalle loro case in cerca di un futuro più luminoso. E, veramente, si tratta soltanto di essere lì ed aiutare le persone che ne hanno bisogno.

Per saperne di più sul progetto di Kevin e Jacqui, o per fare una donazione, visita: www.gofundme.com/hoopsandrocks

Grazie per l’intervista e la traduzione, qui leggermente editata, a www.planetmountain.com