La solita tattica si ripete, in un circolo vizioso che non sembra avere fine. Dopo l’accordo di mercoledì notte all’Eurogruppo, che sembrava garantire un periodo di relativa tranquillità alla Grecia, il Fondo Monetario Internazionale (nella foto Christine Lagarde) torna a creare forti dubbi e incertezze. Secondo quanto riportato dalla stampa greca, fonti dell’Fmi hanno fatto sapere che l’organismo economico internazionale con sede a Washington non prenderà parte al nuovo programma di sostegno economico di Atene, sino a quando non avrà avuto adeguate rassicurazioni sul reale alleggerimento del debito greco. Ciò vuol dire, in sostanza, che quanto deciso appena due giorni fa, viene messo nuovamente in discussione.

In teoria, alla base di tutto ciò sembra esserci l’ennesimo braccio di ferro tra il Fondo e Germania ed i «falchi» del governo di Berlino. Il primo chiede un alleggerimento sostenibile del debito subito, senza aspettare il 2018, mentre i secondi non vogliono dare il loro assenso a nessun tipo di apertura, prima delle elezioni tedesche del 2017. «Vogliamo ulteriori garanzie sul debito», insistono gli alti dirigenti del Fondo Monetario. In pratica, però, questo gioco delle parti potrebbe portare a nuove pressioni su Atene, con la richiesta di altri tagli, laddove non è rimasto davvero più nulla da tagliare, se non la tenuta della coesione sociale.

E da parte sua, il capo dei falchi, Wolfgang Schauble, fa sapere che non si può escludere che l’anno prossimo vengano richiesti ulteriori sacrifici alla Grecia, malgrado il paese «abbia già compiuto grandi sforzi». Il commissario europeo agli affari economici e finanziari Pierre Moscovici cerca di rassicurare i greci, escludendo la firma di nuovi memorandum, convinto che «è necessario solo approvare alcuni dettagli di carattere tecnico». Ma tutti sanno che i creditori, avendo il coltello dalla parte del manico, sono soliti chiedere sempre di più, e che in ogni «dettaglio» si possono nascondere nuove pretese riguardo alla totale liberalizzazione dei licenziamenti, al definitivo abbandono dei contratti collettivi di lavoro o a condizioni svantaggiose per quel che riguarda il delicatissimo capitolo delle privatizzazioni.

La crisi ha colpito principalmente le fasce sociali più deboli e gli ultimi dati statistici confermano pienamente questa constatazione che è molto facile da fare, conoscendo la realtà greca: tra il 2008 e il 2014, il 10% delle famiglie greche più indigenti hanno perso l’85% dei propri redditi, mentre il 30% dei cittadini più abbienti hanno subito una riduzione delle entrate non superiore al 20%. Per quanto riguarda, poi, il solo l’aspetto delle imposte dirette e indirette, fino al 2012 l’ aggravio, per i più poveri, è stato del 338%, mentre per i ricchi l’aumento non ha superato un misero 9%.

Numeri che parlano da soli e che indicano con estrema chiarezza quanto è vasto lo sforzo che si dovrebbe compiere per poter ristabilire una giustizia sociale e una redistribuzione del reddito, quanto mai urgenti. Il governo Tsipras ha cercato in tutti i modi di non far pesare sulle spalle dei disoccupati, dei lavoratori part-time e dei pensionati al minimo il costo dei nuovi provvedimenti richiesti, o meglio imposti, dai creditori. Ma per far ripartire il paese e sanare la profonda ferita creata da anni di liberismo senza limiti, ci vorrebbero realmente dei piani speciali di sostegno e investimento, che possano andare molto oltre i 3,5 miliardi con cui lo stato greco potrà iniziare a pagare i propri debito all’interno del paese.

Il governo di Syriza scommette sull’alleggerimento del debito, per dare una boccata di ossigeno all’economia, fornire una spinta reale alla crescita ed aiutare, in questo modo, anche le classi sociali più deboli. Ma le istituzioni creditrici – con i loro continui tentennamenti e giochi d’astuzia- sembrano non rendersi ancora conto di quanto la Grecia abbia bisogno di lasciarsi alle spalle un passato fatto di tagli orizzontali, imposizioni e diktat su come e dove decurtare il bilancio pubblico e continui aumenti delle tasse. Un paese che deve anche rispettare le proprie leggi e che non può accettare acriticamente ogni desiderio delle varie troike o quartetti. L’ultimo esempio in proposito è arrivato, ieri, con la dichiarazione del presidente del parlamento Nikos Voutsis, secondo il quale l’aumento dell’Iva nelle isole dell’Egeo, potrebbe essere a rischio di incostituzionalità.