Ci saranno 18 trilioni di pianeti in No Man’s Sky, piccola ma smisurata e ambiziosa produzione indipendente di Hello Games che arriverà a fine giugno su Playstation 4 e per Microsoft Windows. Un universo generato in maniera procedurale dal big bang matematico esploso grazie all’azione generante di complessi algoritmi deterministici. La matematica gestisce la varietà geologica, climatica e ambientale della galassia di No Man’s Sky così come la flora e la fauna, queste tramite la «superformula» ideata dal biologo Johan Gielis, che garantisce una diversità quasi infinita di forme animali e vegetali. Abbiamo avuto l’occasione di provare a Londra, in anteprima sulla console di Sony, l’opera di Hello Games e malgrado l’esperienza con il videogioco sia stata davvero ridotta, considerata la sua vastità, l’atmosfera fantascientifica così nuova e nello stesso tempo classica, lisergica e realistica in maniera dolcemente straniante, ci ha catturato trasportandoci su uno dei miliardi di pianeti del gioco nella prima persona di una fanta-soggettiva stupefacente. No Man’s Sky potrà non essere un gioco per tutti a causa della sua epica lentezza e una giocabilità che alla lunga potrebbe risultare ripetitiva e spaventare il grande pubblico. Tuttavia per chi ama la fantascienza esplorativa questo enorme videogioco sarà un’esperienza definitiva e totalizzante, quasi spaventosa e per questo terribilmente eccitante, grazie alla sua disumana e misteriosa vastità. Il sogno dello spazio, a portata di controller. A Londra abbiamo avuto la possibilità di porre qualche domanda a Sean Murray, co-fondatore di Hello Games e game-director di No Man’s Sky.
Quale idea vi è venuta prima, quella dell’algoritmo o del videogioco?
Le persone tendono soprattutto a concentrarsi sull’aspetto tecnologico, ma in realtà questo è secondario per me. Avevamo questa idea, di realizzare un videogame che rendesse possibile provare l’emozione di atterrare su un pianeta e pensare: «sono la prima persona a essere qui». Questa per me è l’anima della fantascienza, qualcosa che solo tramite un videogioco può realizzarsi. Perché se guardate un film potete osservare qualcuno che sbarca su un pianeta e che si guarda attorno meravigliato, ma non è la stessa cosa, perché tutti possono vedere quel film o sfogliare un libro e leggere la stessa descrizione. Ma con i videogiochi è diverso, poiché si può attuare tramite questi ciò che è più vicino all’esplorazione di un posto vero. Così avevamo quest’idea e ci siamo chiesti: «siamo solo in quattro, come facciamo a renderla possibile?». Quindi abbiamo inizialmente pensato di realizzarla nella maniera più semplice, utilizzando una grafica arcaica, alla Minecraft, ma poi abbiamo cominciato ad evolvere le nostre intenzioni, a trasformarle in materia visiva sempre più realistica, perché era importante ai fini di comunicare la sensazione di essere in un luogo vero, per rendere l’esplorazione e le emozioni più significative. Abbiamo lavorato in modo che il pubblico potesse vedere qualcosa di simile al disegno sulla copertina di un libro di fantascienza.
Possiamo considerare l’algoritmo come una divinità immanente in tutto il vastissimo universo di No Man’s Sky?
Sì, il concetto iniziale era davvero semplice, una formula elementare. È soltanto attraverso la connessione di due o più idee insieme che qualcosa diventa complesso. Non ci siamo quindi sentiti come dei, perché facevamo qualcosa di semplice, tuttavia diventava sempre più complesso mentre proseguivamo nel nostro lavoro di «creazione», strato dopo strato.
È bastato provare per poco più di un’ora No Man’s Sky per ricordarci l’emozione di scoperta che si ricava leggendo alcuni classici della fantascienza, come i romanzi di Jack Vance, ad esempio.
Sì, sono soprattutto appassionato a quel tipo di fantascienza che può essere considerata appartenente al «periodo d’oro». Si tratta di una fantascienza pregna di senso della meraviglia, vi è percepibile un’eccitazione sentita per la tecnologia e l’esplorazione e coincide con la fine degli anni ’60 e l’inizio dei ’70, quando l’esplorazione spaziale è divenuta una realtà. All’epoca quindi la gente era ottimista riguardo le possibilità offerte dalla tecnologia e dalla scienza. Adesso se guardate un film o leggete un libro e all’inizio c’è uno scienziato e un laboratorio già intuite che tutti moriranno! La tecnologia si rivelerà qualcosa di tremendamente sbagliato e ci sarà un virus o una catastrofe. Invece in Asimov, in Clarke, in Heinlein, anche in Star Trek, la tecnologia è qualcosa di positivo così come l’esplorazione spaziale. Certamente là fuori ci può essere qualcosa di ostile ma l’idea era che l’umanità del futuro fosse migliore, più illuminata. Questo ottimismo mi ha sempre intrigato e penso fosse sensibilmente percepibile dalle copertine dei romanzi, che riassumevano in maniera eccellente l’idea di quella fantascienza. Se chiudo gli occhi quindi e mi immagino la fantascienza, vedo quelle copertine. È qualcosa che si è smarrito negli ultimi anni, nella fantascienza moderna. La fantascienza moderna sono gli zombie, l’apocalisse e questo genere di cose! Tutto è una distopia oggi, ma io preferisco l’utopia, che è la direzione intrapresa per il nostro gioco.
È stato «piacevole» morire durante il gioco perché dopo ogni Game Over era possibile leggere una preziosa citazione da grandi romanzi di fantascienza.
Ci saranno moltissime di queste citazioni, anche se per ora non sono che poche dozzine. Ne stiamo progressivamente aggiungendo altre. È una piccola cosa che mi appartiene, leggo ed estrapolo dai libri grandi periodi. E mi piacerebbe che i giocatori che apprezzeranno No Man’s Sky leggendo quelle citazioni si appassioneranno a quel tipo di fantascienza e ai suoi autori. Così posso sperare che il nostro videogioco, grazie alla presenza di questi brani, faccia coincidere l’amore dei tanti appassionati di Star Trek o Star Wars, magari inconsapevoli dell’esistenza di tanti capolavori della letteratura, con quello per quei libri.
Sebbene l’universo di No Man’s Sky sia relativamente infinito, in esso c’è una «verità assoluta» da perseguire, un obiettivo finale?
C’è lo scopo di raggiungere il centro dell’universo. È un obiettivo che abbiamo aggiunto per rendere l’esperienza più confortevole per il giocatore, che quando inizia a giocare conosce già quale è il suo fine. Ma quando osserviamo le gente provare il nostro gioco realizziamo che si dimentica di questo obiettivo e inizia a esplorare, tenta di sopravvivere o semplicemente osserva ciò che scopre. Abbiamo visto persone restare per ore solo su un pianeta, altri viaggiare in continuazione da uno all’altro, alcuni tentano di non interferire assolutamente con la vita della fauna e della flora, altri non fanno altro che fare affari con le altre popolazioni galattiche… È questo tipo di esperienza soggettiva che abbiamo voluto esaltare, molti probabilmente il centro della galassia non vorranno raggiungerlo mai.
E la musica, in No Man’s Sky?
Anche questa è pensata e composta in maniera procedurale. C’è una sorta di panorama sonoro «infinito» quanto il nostro universo a cui ha lavorato la band inglese indipendente 65fivedaysofstatic. Questo gruppo era il mio preferito prima che iniziassimo a lavorare sul gioco, così abbiamo acquistato la licenza di una delle loro canzoni per il nostro primo trailer, che divenne molto popolare. E quella traccia fu una delle più note su iTunes! Così i 65fivedaysoftatic si appassionarono al nostro progetto e decisero di collaborare alla realizzazione di tutta la colonna sonora e sebbene stessero registrando un nuovo album hanno composto ore di materiali sonori che noi possiamo variare, modificare e adattare in milioni di modi.
Il suo libro di fantascienza moderna preferito?
Ho amato il romanzo The Martian di Andy Weir, quello da cui successivamente Ridley Scott ha tratto il suo film, poiché corrisponde a quello che stiamo facendo con No Man’s Sky.