Crisi in Ucraina e nucleare iraniano tornano a intrecciarsi. Lo scorso inverno, il conflitto di Kiev aveva rallentato i round negoziali di Vienna. I colloqui avevano lo scopo di voltare pagina dopo anni di embargo internazionale che colpisce duramente la classe media iraniana. E così le prove di riavvicinamento tra il presidente moderato, Hassan Rohani, e il suo omologo, Barack Obama, erano già a un punto di stallo dopo l’annuncio dello slittamento dell’accordo definitivo, procrastinato al prossimo 24 novembre, ben oltre la data stabilita del 20 luglio scorso.

«È un’invasione della nazione iraniana a cui dobbiamo resistere, mettendo l’invasore al suo posto», ha denunciato senza mezzi termini Rohani. Il presidente iraniano ha duramente criticato le nuove sanzioni definendole «incompatibili» con lo spirito dei negoziati in corso con i paesi del Consiglio di sicurezza delle Nazioni unite e la Germania (P5+1). «L’Iran non ha fiducia negli Stati uniti e queste sanzioni rafforzano la diffidenza degli iraniani», ha aggiunto Rohani.

Le nuove sanzioni, che sia repubblicani sia alcuni esponenti democratici Usa hanno imposto contro Tehran, prevedono l’inasprimento delle multe contro 25 aziende e imprenditori, sospettati di aver violato le misure sin qui imposte per fermare il programma nucleare a scopo civile di Tehran. Il viceministro per l’Intelligence finanziaria Usa, David Cohen, ha dichiarato che le nuove misure dimostrano la determinazione degli Stati uniti nel prendere provvedimenti contro chiunque violi le sanzioni adottate. Nel mirino ci sono banche che hanno permesso transazioni finanziarie al governo iraniano. Lo scopo delle misure sarebbe di colpire anche le aziende iraniane che hanno fatto affari con il presidente siriano Bashar al-Assad. Secondo il presidente tecnocrate, i provvedimenti varati venerdì scorso dagli Usa allargano il divario tra le parti.

Rohani ha però confermato che l’Iran proseguirà con i negoziati per raggiungere un accordo con i P5+1. «Le sanzioni sono illegali ed è per questo che noi le raggiriamo», ha tuonato Rohani. Il ministro degli Esteri Javad Zarif, in visita a Mosca dall’omologo russo, ha definito l’embargo contro l’Iran, severamente inasprito negli ultimi anni, come «un mezzo illegale per raggiungere i propri (Usa, ndr) obiettivi», «contrari al diritto internazionale». Zarif ha poi notato che le misure restrittive non hanno fermato il programma nucleare iraniano.

Mosca ha confermato che con Tehran punta a «rafforzare la cooperazione economica» sul fronte energetico, dopo gli accordi miliardari firmati lo scorso inverno. In attesa di progressi in tema di nucleare, l’Iran ha sospeso per i prossimi mesi la conferenza annuale sul petrolio. Secondo il direttore dell’importante evento internazionale, la conferenza è stata spostata per permettere a numerose multinazionali di visitare l’Iran una volta raggiunto l’accordo finale sul nucleare. Eppure, al di là dei livelli di arricchimento dell’uranio, e si fa sentire sempre di più l’effetto della crisi in Ucraina, i radicali iraniani, contrari ai colloqui sul nucleare, rispolverano la candidatura dell’ultra-conservatore Mahmud Ahmadinejad.

L’ex presidente ha però subito trovato un fuoco di fila incrociato. Il parlamento iraniano ha reso noto un report sulle violazioni di legge e gli episodi di concussione degli anni di Ahmadinejad al potere. Dopo l’annuncio delle nuove prove che inchioderebbero il controverso politico iraniano, Ahmadinejad avrebbe rinunciato alla creazione di una nuova formazione politica confermando la sua lealtà all’ayatollah radicale Mohammed Yazdi.
Infine, l’Iran è impegnato sul fronte iracheno. Il presidente della regione autonoma del Kurdistan, Massud Barzani, ha confermato che Tehran ha fornito armi ai combattenti kurdi iracheni peshmerga. Durante la sua missione diplomatica in Iraq, il ministro degli Esteri Zarif aveva incontrato anche gli ayatollah Ali Sistani e Hussein al-Najafi.

Tuttavia, il presidente del parlamento iraniano Ali Larijani aveva criticato gli attacchi Usa contro l’Isis in Iraq definendoli «inefficiaci» per fermare il gruppo.