Al VII Vertice delle Americhe – oggi e domani a Panama – la priorità dichiarata è quella di discutere di sviluppo «integrale» esaminando risultati e ritardi in tema di salute, educazione, sicurezza, migrazioni, ambiente, energia, sostenibilità democratica e partecipazione dei cittadini. La premessa viene dai dati sulle disuguaglianze persistenti nelle varie regioni del continente, dove «l’abbondanza non ha raggiunto tutti i popoli allo stesso modo». E così, vi sono «famiglie che vivono in povertà o in miseria estrema», esistono «carenze nel campo della salute e dell’educazione e c’è un « aumento del crimine organizzato». Per le delegazioni di 35 paesi americani, il titolo è «Prosperità con equità: la sfida della cooperazione nelle Americhe».

Per i governi socialisti, la sfida è quella di aver messo in campo un modello di sviluppo basato sulla sostanziale o parziale rimessa in causa delle priorità economiche e politiche imposte dalla legge del profitto. Un modello che intendono condividere in un confronto alla pari, e per questo esigono dalle grandi potenze avvezze a relazioni coloniali il contenimento degli appetiti e la presa d’atto della nuova realtà esistente in buona parte del continente. Per molti analisti latinoamericani, questo sarà un vertice storico, che segnerà un punto di rottura simbolico e concreto con le vecchie pretese egemoniche sempre sostenute da questo vertice, nato in seno all’Organizzazione degli Stati americani (Osa), nel 1994.

I capi di stato del Centroamerica (una parte del continente ancora in maggioranza legata a doppio filo agli Usa) sosterranno una riunione speciale con Obama. Il presidente Usa è appena rientrato da un viaggio in Giamaica dove ha concretizzato accordi di natura commerciale e militare. Soprattutto, ha cercato di presentare ai 14 paesi caraibici che compongono la Comunidad del Caribe (Caricom) «un’alternativa alla centralità del Venezuela nel blocco» (così ha detto Harold Trinkunas, direttore del Dipartimento per l’America latina del Brooking Institut – un riferimento per Washington).

A fronte della caduta del prezzo del petrolio, della bassissima crescita economica per la gran parte del continente e delle difficoltà politiche a cui devono far fronte alcuni grandi paesi come il Brasile, il VII sarà un vertice eminentemente politico: segnato dalla partecipazione di Cuba, dal processo di disgelo in corso con gli Stati uniti e tutt’altro che in discesa, ma soprattutto dallo scontro tra gli Usa e il Venezuela. Il 9 marzo, Obama ha emesso un decreto di sanzioni, e ha definito Caracas «una minaccia eccezionale per la sicurezza nazionale».

Un’attitudine che ha provocato la reazione di tutto il continente, dei vari blocchi regionali e anche di altri grandi attori, come Cina e Russia, protagonisti di una rete di rapporti commerciali e finanziari che impensierisce Washington. Secondo recenti dichiarazioni del governo venezuelano, è stato raggiunto e superato l’obiettivo di presentare a Obama oltre 10 milioni di firme per chiedergli di abolire il decreto. Si sono svolte manifestazioni in tutti i continenti, e i twitt contro le sanzioni hanno fatto tendenza, negli stati Uniti e in America latina.

In una lunga intervista rilasciata all’agenzia Efe, Obama ha tenuto a precisare che «i rapporti con l’America latina non sono mai stati così buoni come in queste ultime decadi», che le relazioni con il continente non possono che essere prioritarie e basate sul rispetto, e ha anche cercato di smussare gli spigoli con Caracas: «Gli Stati uniti – ha detto – sono il principale socio commerciale del Venezuela, con oltre 40 miliardi di dollari di commercio bilaterale all’anno».

Un abbassamento dei toni si era notato nei giorni precedenti anche nelle dichiarazioni di altri alti responsabili Usa. Tuttavia, come hanno sottolineato gli opinionisti della destra venezuelana, Obama ha anche ribadito che l’impianto delle sanzioni rimarrà intatto, quanto la sua «preoccupazione» per «la continua erosione dei diritti umani», «per la corruzione» e per «l’autoritarismo» di certi funzionari venezuelani verso l’opposizione.

Al contempo, il presidente ha reso esplicita la partita che gli Usa stanno giocando nelle Americhe attraverso i nuovi accordi che sta realizzando. Per questo, ha cantato le magnifiche sorti dell’Accordo Transpacifico: «Stiamo lavorando – ha detto – con Canada, Cile, Messico e Perù per segnare il corso del commercio del XXI secolo con questo accordo strategico. Quando si tratta di difendere la sicurezza, la prosperità e i diritti umani dei popoli del continente americano, nessuno sa far tanto e in tanti campi come gli Stati uniti».

La presidente del Brasile, Dilma Rousseff, ha fatto sapere a Obama che il suo omologo venezuelano, Nicolas Maduro, è sempre disposto ad appianare le cose durante il vertice. A Panama si prevede un incontro tra la presidente brasiliana e il capo di stato Usa, dopo il serio raffreddamento seguito al caso dello spionaggio internazionale portato in luce da Snowden. Rousseff (e l’impresa petrolifera di stato Petrobras) erano nel mirino delle agenzie per la sicurezza nordamericane e, schierandosi dalla parte dell’America latina indipendente, la presidente brasiliana aveva annullato la prevista visita negli Usa. Ora le cose potrebbero rimettersi in moto. Ma se si ipotizza un incontro tra il presidente cubano Raul Castro e Obama, più difficile immaginare una stretta di mano tra il presidente Usa e Maduro.

Quest’ultimo sta prendendo il posto del suo predecessore Hugo Chavez nel concentrare gli strali del campo conservatore. Una ventina di ex capi di stato della destra europea e latinoamericana sta animando una campagna contro il suo governo, e sostiene a spada tratta le ragioni delle destre di opposizione.

Il presidente ecuadoriano, Rafael Correa, ha definito «una vergogna» la petizione «per la transizione in Venezuela» degli ex presidenti. Durante il vertice dei Popoli, che si svolge in parallelo, vi sono state scintille. Cuba e Venezuela hanno abbandonato il Forum della società civile per la presenza di «mercenari» anticastristi: soprattutto quella di Féliz Rodriguez, che ha partecipato all’assalto alla Baia dei Porci e all’uccisione di Che Guevara.

La moglie di una vittima delle violenze di piazza in Venezuela ha urlato «Tuo marito è mio, il mio è stato ammazzato» all’indirizzo di Lilian Tintor, moglie del leader oltranzista Leopoldo Lopez, sotto processo per quelle violenze. Molti sindacalisti cubani hanno denunciato il sabotaggio degli Usa e l’assenza di sicurezza nel vertice, dove gli anticastristi hanno aggredito alcuni militanti. I movimenti stanno producendo una piattaforma di proposte da presentare ai diversi presidenti. E hanno già espresso il proprio sostegno alla Unasur, che proporrà agli Usa di smantellare le basi nordamericane nel Continente.
Una proposta che va in senso inverso all’incremento della presenza militare Usa in Centroamerica, soprattutto in Perù, Honduras, Messico e Colombia.