A pochi giorni dalla fine del suo mandato Barack Obama ha messo fine alla politica che garantisce la residenza ai cubani che giungono senza visto negli Stati uniti e uno status speciale ai medici cubani che decidano di abbandonare le loro missioni all’estero.

La nuova misura, diffusa con un comunicato congiunto con l’Avana, è scoppiata come una bomba a Cuba. La maggior parte delle famiglie dell’isola ha un parente che, per realizzare il sogno della «carta verde», si è lanciato nelle acque del golfo di Florida in un’imbarcazione di fortuna o in uno scafo superveloce di trafficanti di persone; o si è messo in viaggio attraversando rocambolescamente tutta l’America centrale per varcare la frontiera tra Messico e Usa. In ogni caso, rischiando la vita e a volte perdendola.

L’ANNO SCORSO SONO EMIGRATI, con o senza visto, negli States 54.000 cubani, quasi il doppio rispetto al due anni fa. Da oggi, questo non sarà più possibile. «Tratteremo gli emigranti illegali cubano nella stessa maniera in cui trattiamo gli emigranti di altri paesi» ha messo in chiaro Obama.

Ovvero, niente permesso di lavoro e sussidi immediati e la residenza dopo un anno di permanenza, come assicurava la legge voluta da Bill Clinton nel 1995 e conosciuta come «piedi secchi e piedi bagnati»: chi riusciva a mettere piede nella costa statunitense aveva il trattatmento speciale di cui sopra, chi veniva intercettato in mare, al contrario, era rispedito nell’isola madre. Nel 2006, il presidente George Bush aveva aggiunto il carico di una legge che concedeva uno status speciale ai medici cubani che abbandonavano le loro missioni all’estero per emigrare negli Usa. Una legge che Fidel condannò come «un furto di cervelli».

DA OGGI SARANNO AMMESSI negli Usa solo emigranti legali, che secondo l’impegno preso da Washington , saranno almeno 20.000 all’anno. Per il governo cubano, si tratta di «un importante passo avanti nella normalizzazione delle relazioni bilaterali» e «con il fine di giungere a un’emigrazione, sicura, legale e ordinata». Secondo Josefina Vidal, la diplomatica che guida i negoziati con gli Usa, per ottenere una «piena normalizzazione», Washington dovrà abolire anche il Cuban Adjustement Act, emanato nel 1966 dall’allora presidente Johnsonn e che considera tutti gli immigrati legali cubani come rifugiati e concede loro la residenza dopo un anno di permanenza, con l’evidente scopo politico di mettere in crisi la Rivoluzione di Fidel. Vidal ha messo in chiaro che, da parte sua, il governo cubano accoglierà i propri cittadini rimandati indietro dagli Usa.

LA MISURA DECISA DA OBAMA è frutto di lunghi mesi di trattative tenute segrete e perfezionate dal consigliere di Obama Benjamin Rhodes che rappresentò il presidente Usa ai funerali di Fidel lo scorso dicembre. La segretezza era ritenuta necessaria per evitare che migliaia di persone si gettassero in mare con ogni mezzo per tentare l’avventura prima che gli Usa mettesero fine alle misure speciali riservate ai cubani. In effetti, dopo che nel dicembre 2014 è iniziata la normalizzazione dei rapporti diplomatici, il numero dei balseros, ovvero dei cubani che usano mezzi di fortuna per attraversare lo stretto di Florida, è aumentato drasticamente: secondo la Guardia costiera nordamericana l’anno scorso 7411 cubani sono sbarcati illegalmente negli Usa o sono stati intercettati in mare: quasi il doppio rispetto al 2014.

IL NUOVO PACCHETTO DI MISURE per blindare la politica di normalizzazione voluta da Obama ha provocato a Cuba reazioni contrastanti, ma tutte molto emotive. «Hanno un grandissimo impatto nei giovani cubani–sostiene Alejandro, 33enne che dieci anni fa ha tentato la traversata ma è stato intercettato dalla Marina americana. La gran parte di loro sogna l’altra sponda, un lavoro garantito e ben remunerato, una vita più facile».

«Un sogno truccato», sostiene il sessantenne Miguel Bernal. Che incita i giovani a non lottare per migliorare il paese e a rischiare la vita. Quella appena abolita da Obama era una legge criminale che ha macchiato di sangue cubano lo stretto di Florida». Jorge, studente di informatica, non nasconde la disillusione, ma anche la speranza che «il nuovo presidente Trump cambi nuovo e rimetta le cose come stavano», visto che ha annunciato che intende trattare su basi più rigide con l’Avana. Ma un esperto come Phil Peters, del Cuban research center, sostiene che l’ultima misura adottata da Obama è ritenuta necessaria da gran parte dei politici statunitensi, anche se molto difficile da prendere a causa dell’opposizione delle destre radicali. Ma una volta messa in atto, afferma, fa comodo anche a Trump perché quella cubana è «un’emigrazione economica, esattamente quella che il magnate combatte».