E’ stato firmato ad Atlanta il Trans-Pacific Partnership (Tpp). Il più grande accordo di libero scambio della storia recente riguarda gli Stati uniti e altri 11 paesi del Pacifico: oltre a Europa e Giappone, vi partecipano Australia, Brunei, Canada, Cile, Malasia, Messico, Nuova Zelanda, Perù, Singapore e Vietnam. Il più ambizioso accordo commerciale mai realizzato, preparato nel corso di otto anni, include il 40% dell’economia mondiale. Un grande risultato di Obama, che sposta gli interessi Usa nel Pacifico e mira a contrastare l’avanzata della Cina. Manca la ratifica del Congresso degli Stati uniti, ma si potrebbe seguire una procedura accelerata. A giugno, con 60 voti a favore e 30 contrari, il Senato ha autorizzato questa procedura per i trattati commerciali internazionali che consentono a Obama di realizzare l’agenda prevista. Anche gli altri governi firmatari dovranno sottoporre l’accordo all’approvazione dei singoli parlamenti e far fronte all’opposizione crescente dei movimenti popolari.

Il discorso ufficiale esalta le meraviglie del Tpp per l’abbattimento delle barriere commerciali, per l’aumento delle possibilità di lavoro e degli standard ambientali tra le nazioni. Un documento pubblicato a gennaio dal sito Wikileaks sintetizza invece la natura neoliberista dell’accordo e i suoi beneficiari: in primo luogo le multinazionali che avranno campo libero per nuovi mercati e potranno eludere le normative nazionali rivolgendosi a più benevoli tribunali di arbitraggio internazionale. Il modello da esportare sarà sempre più quello delle maquilas messicane – le fabbriche ad altissimo sfruttamento in cui i diritti dei lavoratori sono pari a zero.

I due grandi tronconi del Tpp riguardano l’Europa (Ttip) e alcune economie forti vicine a Washington in America latina. Il 20 luglio è già entrato in vigore l’accordo che istituisce l’Alleanza del Pacifico, firmato da Colombia, Cile, Perù e Messico. Un progetto messo in moto nel 2012: con l’evidente tentativo di contrastare le nuove alleanze solidali che funzionano in quell’America latina che ha scelto «il socialismo del XXI secolo» come propria cornice d’insieme. Di tutt’altro tenore sono infatti le relazioni politiche, economiche e sociali messe in campo dall’Alba, l’Alleanza bolivariana per i popoli della nostra America. Un organismo ideato da Cuba e Venezuela nel 2004 per contrastare i piani neoliberisti dell’Alca (l’Accordo di libero commercio per le Americhe) voluto da Washington allora. All’interno dell’Alba funzionano programmi e scambi all’insegna della solidarietà, del disarmo e dello sviluppo realmente sostenibile in base alla ridistribuzione delle risorse a favore delle fasce meno favorite. Il petrolio del Venezuela viene venduto a basso costo in cambio di prodotti e tecnologia anche all’arco dei paesi in via di sviluppo nei Caraibi, attraverso l’alleanza Petrocaribe. Nella prospettiva del Tpp e a fronte della drastica riduzione del prezzo del petrolio che colpisce il Venezuela, ad aprile Obama si è recato appunto in Giamaica: per proporre a Petrocaribe di abbandonare il Venezuela per un più promettente Messico.

Al contempo, è aumentata la pressione sul Brasile, complice la debolezza del governo Rousseff. I paesi progressisti cercano di imporre un maggior segno solidale anche a organismi più ampi come il Mercosur, il Mercato comune dell’America meridionale a cui partecipano anche i due grandi del Latinoamerica, Argentina e Brasile. Gli altri membri sono Paraguay, Uruguay e Venezuela. Sono inoltre Stati associati la Bolivia e il Cile (dal 1996), il Perù (dal 2003), la Colombia e l’Ecuador (dal 2004). Il Venezuela è entrato a pieno titolo solo dopo sei anni, il 31 luglio 2012. E, nei recenti incontri per definire un trattato di libero commercio con l’Europa, è stato l’unico membro effettivo a opporsi, accompagnato dalla Bolivia.

Il Grande mercato transatlantico è stato preparato in questi anni in tutta segretezza: ma non abbastanza da non scatenare una ferma e crescente mobilitazione popolare e anche istituzionale, come spiegano Amélie Canonne e Johan Tyszler su Le Monde diplomatique, in uscita con il manifesto il 15 ottobre. Mobilitazioni che, in Uruguay, hanno spinto il governo di Tabaré Vazquez a recedere dalla firma del Tisa, un accordo di privatizzazione dei servizi già pronto per essere applicato.