Un video di 52 secondi con cui l’Isis minaccia gli Stati Uniti e i suoi marines se un giorno rimetteranno piede in Iraq è la risposta delle milizie di al-Baghdadi ai suggerimenti che martedì il capo di Stato maggiore Usa ha mosso al presidente Obama. Un video di ottima fattura, che ricorda i trailer dei distruttivi film hollywoodiani e dimostra ancora una volta le capacità propagandistiche dello Stato Islamico. In rete è apparso dopo le dichiarazioni del generale Dempsey che ha premuto sull’acceleratore dell’intervento militare in Iraq definendo i bombardamenti insufficienti ad arginare l’Isis.

«Fiamme di guerra», questo l’evocativo nome con cui i jihadisti hanno battezzato il nuovo messaggio a Washington: se Obama invierà truppe in Iraq – come suggerito da Dempsey martedì, in vista di un possibile fallimento dell’ancora non ben definita strategia della coalizione internazionale – allora sarà una strage.

Ieri Obama, dopo aver incassato il sì dei repubblicani alla campagna anti-Isis, ha atteso il voto del Congresso sul nuovo programma di aiuti alle opposizioni moderate siriane dal Comando Centrale dell’esercito, in Florida. Il presidente ha incontrato i vertici militari per discutere dell’operazione e risposto a Dempsey reiterando l’intenzione di non inviare soldati per offensive via terra: gli Usa «non compiono e non compiranno» combattimenti in Iraq, ma si limiteranno ad addestrare le forze irachene all’interno di una coalizione globale di 40 paesi, ha detto Obama da Tampa. L’obiettivo è cristallino e lo dice lui stesso ai 1.200 soldati incontrati in Florida: «Non sarete impegnati in un’altra missione via terra in Iraq» perché «questa non è e non sarà una battaglia dei soli Stati uniti».

In ogni caso un allargamento dell’azione c’è stato: martedì i caccia Usa hanno colpito aree intorno la capitale, sconvolta non solo dai raid ma anche dallo stallo in cui il nuovo esecutivo è già incappato. Il parlamento ha bocciato i due nuovi candidati proposti dal neo premier per i due dicasteri vacanti, lo sciita Riad al-Ghareeb agli Interni e il sunnita Jaber al-Jabberi agli Interni: «Il fallimento del parlamento a trovare un accordo sui candidati ministri mostra che il gap tra le fazioni politiche è ancora ampio», ha commentato il parlamentare al-Samarie. Fonti interne hanno raccontato che il contenzioso ha riguardato al-Ghareeb, la cui nomina è stata bloccata dalle milizie Badr, gruppo sciita piuttosto influente e legato a doppio filo all’Iran.

Proprio Teheran ieri è tornata sulla mancanza di legittimazione della coalizione anti-Isis, priva di un mandato Onu. L’Iran, insieme alla Russia, intende evitare un intervento che abbia come obiettivo la caduta del presidente siriano Assad, che da parte sua cerca di cautelarsi: martedì a Damasco ha incontrato il consigliere della Sicurezza Nazionale irachena con cui ha discusso della necessità di unire gli sforzi contro la minaccia terroristica. A parlare è anche il premier iracheno al-Abadi che ha risposto al generale Dempsey con un «no, grazie»: l’Iraq, ha detto, non ha bisogno di truppe di terra straniere e in ogni caso non sono le benvenute. Al contrario, c’è bisogno di ampliare l’operazione aerea nella vicina Siria.

Le parole di al-Abadi hanno accompagnato il lancio da parte delle truppe governative di una vasta operazione militare contro le milizie jihadiste in tre importantissime città al centro del paese, Ramadi, Fallujah e Haditha, nella provincia di Anbar, la prima a cadere sotto il controllo dell’Isis già lo scorso dicembre. Il giorno precedente erano state protagoniste le milizie curde che hanno strappato dalle mani islamiste sette villaggi cristiani a nord.

La rivincita l’Isis se l’è presa a Tikrit, città natale di Saddam Hussein: ieri gli islamisti, che controllano parte della città, hanno fatto saltare in aria l’antico castello di Salah-a-Din. Violenze anche dall’altra parte del confine: in Siria l’aviazione di Damasco ha bombardato la città di Talbiseh, nella provincia di Homs, provocando 48 morti, di cui una decina di combattenti.

E proprio per difendersi dai raid aerei dell’esercito governativo e da quelli eventuali statunitensi, in Siriaani dell’Isis si stanno organizzando. A Raqqa, roccaforte dello Stato Islamico, gli uomini di al-Baghdadi sembrano scomparsi. Nelle strade non ce n’è quasi traccia: dopo aver evacuato gli edifici occupati in superficie, se la sono filata tutti sottoterra per evitare di essere colpiti. Sopra, restano i civili, in trappola.