A poche settimane dalla fine della missione Isaf della Nato, i Talebani continuano a picchiare duro. Dopo gli attentati dei giorni scorsi a Kabul – contro obiettivi stranieri e la deputata Shukria Barakzai, rimasta illesa – domenica un kamikaze si è fatto esplodere in mezzo alla folla che assisteva a una partita di pallavolo nel distretto di Yahya Khel, nella provincia orientale di Paktika, al confine con il Pakistan.

Secondo alcuni testimoni, l’obiettivo era un comandante della polizia locale. 62 le vittime altrettanti i feriti. Ieri invece due soldati americani sono morti in un attentato e un’esplosione a Kunduz, nel nord del paese, ha ucciso altre 6 persone.

Per l’attacco a Paktika, i servizi afghani hanno subito puntato il dito contro la cosiddetta rete Haqqani, il più spietato tra i gruppi della galassia talebana, con una notevole autonomia operativa e finanziaria, grazie al sostegno dei servizi segreti pakistani e al vasto impero economico costruito dal vecchio leader Jalaluddin Haqqani, che ha ceduto la guida militare al figlio Sirajuddin. Nonostante operi soprattutto in Afghanistan e recluti nella Loya Paktia (la grande Paktia), l’area orientale che include le province di Paktia, Khost e Paktika, il quartier generale del gruppo è sul lato pakistano della Durand Line, a Miran Shah, capoluogo del Nord Waziristan. Pochi giorni fa proprio gli Haqqani hanno fatto litigare di nuovo Stati Uniti e Afghanistan da una parte con il Pakistan dall’altra: il consigliere per la sicurezza nazionale pakistana Sartaj Aziz ha sostenuto che non tutti i gruppi militanti vanno combattuti, e che gli Haqqani sono un problema degli afghani, non loro.

Il sanguinoso attentato di domenica ha mandato su tutte le furie sia gli afghani sia gli americani, che vedono confermate le loro accuse al Pakistan: nell’ultimo Report Toward Security and Stability in Afghanistan, reso pubblico a fine ottobre dal Dipartimento della Difesa Usa, si sostiene infatti che gli Haqqani «rimarranno il maggior pericolo per le forze della coalizione nella missione post-2014, specialmente se non verranno loro negati i santuari in Pakistan». Anche a causa della riluttanza dei pakistani a rinunciare alla strategia del “doppio gioco”, il presidente degli Usa Obama ha emanato un ordine segreto che, secondo quanto riportava il New York Times, permetterà agli americani di combattere attivamente anche nel 2015 contro i Talebani e i rappresentati di al Qaeda in Afghanistan.

Molti hanno letto la decisione di Obama come un’inversione di tendenza rispetto al discorso dello scorso maggio, quando annunciò il compimento «della nostra missione di combattimento» alla fine del 2014. Ma quell’ordine non fa che dare attuazione a quanto scritto nel Trattato bilaterale di sicurezza tra Usa e Afghanistan, tra i primi atti firmati dal nuovo governo “bicefalo” afghano del presidente Ashraf Ghani e del quasi primo ministro Abdullah Abdullah. Nel trattato infatti, oltre all’accesso ad almeno 9 basi militari, si garantisce agli americani la possibilità di compiere operazioni di contro-terrorismo, a condizione che siano gestite in collaborazione con gli afghani. Se sotto la presidenza Karzai quella collaborazione era diventata impossibile, con il nuovo presidente Ghani è scontata. Almeno per ora. Non è un caso che secondo indiscrezioni Ghani avrebbe dato nuovamente via libera ai raid aerei notturni, vietati dal suo predecessore.