A pochi mesi dal suo definitivo addio alla Casa Bianca, Barack Obama dice addio anche alle prigioni private. Il Dipartimento di Giustizia ha dato indicazione al Federal Bureau of Prisons di rivedere e non rinnovare tutti i contratti con le multinazionali che gestiscono le carceri private.

Nella comunicazione ufficiale del Dipartimento della Giustizia federale si legge che le prigioni private «non assicurano lo stesso livello di servizi e programmi per la riabilitazione; non garantiscono risparmi sui costi e adeguati livelli di sicurezza».

L’American Civil Liberties Union, da sempre impegnata contro la mass incarceration, per bocca dell’avvocato Carl Takei, che dirige il progetto nazionale sulle prigioni , ha definito l’annuncio «una vittoria straordinaria, enorme che migliorerà considerevolmente la vita di migliaia di persone che altrimenti sarebbero restate chiuse in quei posti abusivi, incomprensibili e gestiti solo per fare soldi».

Due anni prima l’Aclu aveva pubblicato un rapporto shock sulle donne e gli uomini dimenticati e intrappolati nei centri privati di reclusione dei migranti.

Non è mai troppo tardi e ora il Federal Bureau of Prisons afferma categoricamente che le prigioni private sono addirittura ben nove volte più chiuse e violente rispetto a quelle pubbliche, usano l’isolamento disciplinare in modo improprio e fortemente lesivo dei diritti umani, negano un adeguato trattamento medico ai detenuti e non assicurano la sicurezza personale dello staff penitenziario.

Le modalità di reclutamento dello staff e di funzionamento della vita interna in una prigione privata sono descritte in modo formidabile da un’inchiesta giornalistica realizzata da un reporter del Mother Jones che si è fatto assumere come guardia dalla Correction Corporations of America (CCA), una delle grandi multinazionali della sicurezza che gestisce parte dei 131 mila prigionieri custoditi negli USA da privati.

I suoi quattro mesi passati come guardia nella prigione di Winn in Louisiana, uno stato che ha un tasso di detenzione pari a 800 detenuti ogni 100 mila abitanti, costituiscono una ricerca etnografica straordinaria. In apertura racconta che per essere assunto gli è stato sufficiente telefonare al centralino della CCA così contrattando uno stipendio di 9 dollari l’ora: formazione zero, preparazione zero, conoscenza del sistema penitenziario zero.

L’annuncio del Dipartimento della Giustizia Federale ha fatto traballare le quotazioni in borsa dei due colossi del sistema penitenziario privato: la CCA e il GEO Group. I contratti in scadenza non verranno rinnovati. Una richiesta di nuovi 10.800 posti letto per il Texas è stata ridotta a 3.600.

Molti contratti saranno dunque progressivamente cancellati già entro marzo 2017.

Si attende adesso una presa di posizione del Department of Homeland Security che gestisce il sistema di reclusione degli immigrati e che già l’anno scorso aveva fortemente criticato le società che gestiscono i centri privati per il trattamento non rispettoso del diritto alla salute fisica e psichica degli immigrati ristretti nei centri privati.

La speranza è che il Dipartimento degli Interni si metta nel solco di quello della Giustizia disdicendo i contratti in corso d’opera.

La mole degli affari fa impressione.

Il 9% degli introiti complessivi della CCA arriva dal Federal Bureau of Prisons per gestire le carceri private e addirittura il 28% dal Dipartimento degli Interni per la reclusione degli immigrati.

Nel caso della GEO il 15% del bilancio è prodotto dalla gestione delle galere e il 18% dai centri per migranti. La GEO ha ottenuto una commessa di un miliardo di dollari solo per detenere madri provenienti dal Centro-America con i loro figli.

Un affare enorme sulla testa delle persone che ha fatto crescere a dismisura i tassi di detenzione negli Usa, evidenziando anche casi di corruzione tra i giudici.

Se anche il Dipartimento degli Interni dovesse decidere di cancellare i suoi contratti verrebbe inferto un colpo mortale ad entrambe le multinazionali corresponsabili nel processo di incarcerazione di massa negli Usa.

* L’autore è presidente Antigone