Gli Usa escono dal settore della carcerazione a scopo di lucro. La deputy attorney general Sally Yates ha annunciato che il dipartimento di giustizia ha deciso di diminuire e poi porre fine agli appalti federali verso le società che negli ultimi anni sono state protagoniste e beneficiarie di un boom carcerario impressionate.

A partire dagli anni 80 le private prisons hanno acquisito una fetta consistente di una popolazione che negli Usa è giunta a oltre 2,3 milioni di detenuti, un quarto di tutti i detenuti del mondo.

Una mass incarceration effetto di una deriva giustizialista che dagli anni ’70 e ’80 ha visto emergere la «lotta alla criminalità» come slogan obbligatori di una lunga onda conservatrice. Per effetto del proibizionismo inaugurato dalla war on drugs di Richard Nixon, e poi della stretta autoritaria di Reagan e dei Bush (ma anche si Bill Clinton)le carceri sono emerse come strumento privilegiato di controllo sociale.

Uno strumento calibrato asimmetricamente contro le classi subalterne e di colore per cui neri ed ispanici sono finiti in carcere ad un tasso sei volte quello dei bianchi.

La detenzione di massa ha fatto schricchiolare l’infrastruttura esistente. Mentre le potenti lobby delle guardie carcerarie spingevano per la continuata severità delle pene che garantiva agli agenti sicurezza di lavoro, le prigioni sono state ben presto sopraffatte. Quando gli istituti di pena non sono più riusciti a fare fronte alla «domanda» è entrata in scena «l’offerta» delle aziende private, capaci di costruire rapidamente centri di detenzione e vincere lauti appalti dagli stati per ospitare l’eccedenza che le patrie galere non erano in grado di gestire; un business di miliardi basato sulla massiccia disponibilità di «materia prima» garantita dalla politica.

Non sorprende cioè che il maggiore conglomerato del settore, la Corrections Corporation of America sia stato fondato da Thomas Beasley, esponente del partito repubblicano. Negli ultimi 30 anni le prigioni private sono divenute parte integrante del «complesso penale industriale» giungendo a ospitare 130.000 detenuti. Un’obliterazione di un confine morale che non ha preoccupato i numerosi investitori istituzionali che a Wall street hanno brindato a un business model apparentemente imbattibile e in sinergica sintonia con il corporativismo rampante dei tempi.

Contro la finanziarizzazione della giustizia si sono invece battuti per anni attivisti del movimento per i diritti dei detenuti che hanno rilevato nella privatizzazione il metodo sicuro per peggiorare un sistema già equivoco creando un parastato particolarmente sinistro. Quando vi feci visita una dozzina la prigione della Cca a Florence Arizona ospitava un migliaio di detenuti «appaltati» dall’Alaska che passavano l’ora d’aria ciondolando nei 40 gradi del cortile sotto il sole a picco del deserto. L’addetto alle pubbliche relazioni indicava la pulizia esemplare dei locali ma per l’azienda i detenuti spediti in questo strano confino, a migliaia di chilometri dalle proprie famiglie, rappresentavano soprattutto unità di fatturato pagato a 63 dollari cada per notte dallo stato d’origine. Le prigioni private sono venute a rappresentare una fonte di sviluppo economico per settori sociali esautorati e molte regioni deindustrializzate, l’ultima spiaggia per generare posti di lavoro ai margini di una malformazione sociale.

Non si può dunque sottovalutare l’annuncio di questa settimana. L’obbrobrio morale delle prigioni private sono state un cavallo di battaglia della campagna di Bernie Sanders (che ha ottenuto che la loro chiusura fosse inserita nel programma politico di Hillary). Ma sullo sfondo del giustizialismo arcigno reiterato oggi dal trumpismo,è stato Obama a muoversi d’anticipo. Il primo presidente americano a visitare un carcere federale era già intervenuto su questo terreno denunciando per bocca del suo precedente ministro di giustizia, Eric Holder, i costi «umani e morali del circolo vizioso di povertà, criminalizzazione e incarcerazione che in trappola troppi americani» «il sistema giudiziario (che) ha esacerbato invece di alleviare» i conflitti sociali.

La presa di posizione netta sulla privatizzazione, acclamata da molti attivisti del settore, è un ulteriore importante segnale riformista di fine mandato con cui Obama tenta di costruire una legacy sociale progressista.