L’Ocse alza le stime sul Pil: +0,8% nel 2015, +1,4% nel 2016-2017, in lieve rialzo rispetto a settembre (+0,7%, +1,3%). Sono i dati della crescita più bassa nei paesi Ocse. L’Economic Outlook 2015 sostiene che il governo Renzi dovrebbe «spostare le tasse dal lavoro su consumi e casa», cioè l’opposto di quanto stabilito nella legge di stabilità con il taglio delle tasse sulla prima casa. Inoltre l’Ocse chiede di «spostare in modo permanente la pressione fiscale dal lavoro al consumo e alla proprietà immobiliare, e aumentare le tasse ambientali, rafforzerebbe le fondamenta di una crescita più forte, più verde e più inclusiva». Si chiede di aumentare le tasse sulle casa e l’Iva sui prodotti e, in più, di «estendere i tagli ai contributi previdenziali» intesi come «una priorità per consolidare la ripresa del mercato del lavoro».

*** Ocse, i dati allarmanti che il governo Renzi non vuole vedere

Il taglio alla spesa previdenziale è un vecchio pallino della strategia neoliberista dell’Ocse. Pur essendo nella media europea, questa spesa è considerata un ostacolo da abbattere. Per il momento Renzi e Padoan non hanno ceduto a questa richiesta. Per loro, i dati dell’Ocse sono un successo. L’aumento al contagocce del Pil, come dell’occupazione dello 0,8% quest’anno, dell’1,4% nel 2016 e dell’1% nel 2017, (con la disoccupazione all’11% nel 2017), attestano gli effetti modesti di una strategia – quella del Jobs Act – che ha regalato 12 miliardi di euro alle imprese producendo molto lavoro a termine. La contabilità ufficiale non permette di fare un discorso sulla qualità del lavoro e su cosa si produce. Quanto conta, infatti, avere un boom del lavoro precario, sottopagato e senza tutele? Nulla, silenzio assoluto su quale lavoro la «ripresa» stia producendo.

C’è spazio per affermazioni surreali, e concordate, dal consenso che tiene in piedi Renzi davanti ai tribunali della Troika: il Jobs Act sta «portando a una svolta nel mercato del lavoro, rendendo la crescita più inclusiva». Come no. Per l’Ocse il deficit pubblico «continuerà a diminuire, con la ripresa economica che aumenta gli introiti fiscali e l’onere per interessi sul debito pubblico che cala», a 2,6%, 2,2% e 1,6 per cento.

Quanto al rapporto debito pubblico/Pil nel 2016 aumenterà ancora al 134,3% al 133,5% nel 2016 e al 131,8% nel 2017. Il governo si auto-compiace: in fondo, una crescita di qualche decimale di punto è meglio di niente nel balletto dello «zero virgola». Per il ministro del lavoro Poletti è «un dato figlio delle dinamiche generali a livello globale, ma sicuramente segnato dalle riforme fatte da questo governo sul versante delle politiche del lavoro». La crescita è «forte e continua» per il ministro dell’economia Padoan – già funzionario dell’Ocse – visto che sono state riviste verso l’alto le stime del Pil e dell’occupazione.

Tra i fattori che frenano questa crescita c’è il credito bancario che «resta limitato a causa di un’elevata quantità di prestiti non performanti, che continua a crescere e intralcia la crescita degli investimenti». Ma sono quisquilie: le procedure fallimentari riviste dal governo porteranno il sereno. È l’ottimismo della global class che Renzi considera «vincente».

Quello che ignora il costo umano e economico della povertà. Di questo nel report non si trova traccia. Per l’Istat il 6,8% della popolazione residente, 4 milioni e 102 mila persone, sono in condizione di povertà assoluta. Al Sud sono l’8,6%. I «relativamente poveri» sono 2 milioni 654 mila famiglie e 7 milioni 815 mila persone. Ma queste vite, e il loro futuro, non è contemplato dalla crescita. Vivono in un mondo separato, remoto, oscuro. Non hanno ricevuto un invito alla danza del decimale con il segno più.