Si firma oggi ad Auckland, in Nuova Zelanda, l’Accordo di associazione transpacifico (Tpp) tra Usa e altri 11 paesi: Australia, Brunei, Canada, Cile, Giappone, Malesia, Messico, Nuova Zelanda, Perù, Singapore e Vietnam. A ottobre del 2015, a Manila, si sono conclusi i negoziati, condotti in gran segreto dal 2008. In quella sede, si è deciso di dar tempo due anni ai singoli parlamenti per ratificare l’accordo, senza possibilità di modificarne il testo, prima che il Tpp diventi comunque esecutivo. L’Accordo Traspacifico rappresenta il 40% dell’economia mondiale e include la prima e la terza economia del pianeta, coinvolge tre continenti e interessa un mercato potenziale di oltre 800 milioni di persone.

Un «contrappeso» al crescente potere economico della Cina e più in generale al ruolo dei cinque emergenti, Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica (i Brics), che prevede l’imposizione di nuove regole commerciali a livello mondiale ben oltre gli obiettivi avanzati dall’Organizzazione mondiale del commercio (Wto) nei Doha Round. «Il Tpp sta aiutando a scrivere le regole del commercio mondiale per il XXI secolo», ha dichiarato infatti Barack Obama, riassumendo il senso dell’accordo più ambizioso mai realizzato finora. Per Obama, l’offerta del Tpp prevede «norme per evitare il lavoro infantile, per proteggere l’ambiente e gli oceani e regole per combattere il traffico delle speci». E include «sia paesi grandi che paesi piccoli, sviluppati e in via di sviluppo», tutti, però «con la stessa visione condivisa di come andare avanti».

Fumo negli occhi per nascondere la vera natura e gli interessi dell’accordo, che mette a rischio i diritti del lavoro, quelli dell’ambiente, l’accesso ai farmaci e la libera proprietà intellettuale. Il Tpp ha il suo pendant europeo nel Partenariato Transatlantico, il Ttip, ben delineato dai singoli accordi di libero commercio realizzati o in via di realizzazione con molti paesi del sud. Un grande boccone da agguantare è costituito dal continente latinoamericano. L’Unione europea è il primo investitore estero nella Comunità degli stati latinoamericani e caraibici (Celac) e la Celac – che comprende 33 paesi americani tranne Usa e Canada, 600 milioni di abitanti e un Pil complessivo di circa 6.000 miliardi di dollari – è il secondo partner commerciale per la Ue. Nell’ultimo vertice tra Ue e Celac, l’Unione europea ha deciso di stanziare aiuti per quasi 700 milioni di euro, e ha spinto per portare a buon fine l’accordo con il Mercosur (che rappresenta l’80% del pil regionale e il 70% della popolazione): premendo sul Brasile e ora sull’Argentina tornata a destra, per staccare le grandi economie dalle nuove relazioni solidali sud-sud guidate dal Venezuela socialista.

Altro grande alleato del nord in America latina, è il Messico, seconda economia del continente dopo il Brasile. Insieme a Colombia, Perù e Cile, il paese del neoliberista Henrique Peña Nieto è asse portante dell’Alleanza del Pacifico e delle politiche Usa, un paese che assorbe l’80% delle esportazioni messicane. All’Alleanza partecipano solo i paesi che hanno accesso all’Oceano pacifico e dunque hanno un’influenza sul mercato cinese, date le cifre importanti del loro export, ma soprattutto hanno al governo storici o governabili alleati degli Usa. A vantaggio di quali interessi e con quali conseguenze per i settori popolari, appare evidente in Messico, dove Nieto ha spalancato le porte alle privatizzazioni delle imprese statali e acuito quelle dei servizi, e di recente sono stati tagliati altri 25.000 impieghi pubblici. Il Tpp non farà che aumentare il disastro provocato da oltre vent’anni di politiche neoliberiste inaugurate nel 1994 con la firma del Nafta, l’accordo nordamericano di libero scambio con Usa e Canada.

In una congiuntura particolarmente sfavorevole per i paesi produttori di petrolio, a fronte della drastica caduta del prezzo del barile, l’influenza degli Usa torna prepotentemente in America latina, favorita dalle vittorie delle destre in Argentina e in parte in Venezuela e dalla crisi politica in Brasile. L’Obiettivo è quello di scardinare le nuove alleanze solidali e anticoloniali che hanno preso forma a partire dalla vittoria di Hugo Chavez in Venezuela, nel 1999. In questo quadro si articola il rinnovo del Plan Colombia, che Obama conta di realizzare in questi giorni con il presidente colombiano Manuel Santos, volato a Washington per ridiscuterne i termini reali, dietro la facciata degli accordi di pace con le guerriglie.

Ma, intanto, dal Cile al Perù, dal Messico all’Argentina, le sinistre e i movimenti si mobilitano contro il Tpp. In Perù, mentre il paese si prepara alle elezioni e le destre sono nuovamente favorite, collettivi giovanili e sindacati sono scesi in piazza insieme a gruppi di pazienti: per denunciare le conseguenze che avrà il Tpp sulla privatizzazione dei farmaci e della salute. “Difendiamo la nostra sovranità contro le multinazionali”, hanno gridato i manifestanti in Cile. L’Argentina non fa parte del Tpp, ma le proteste hanno denunciato la legge Monsanto e le porte spalancate da Mauricio Macri alle multinazionali.