Lasciata l’Italia dietro il confine di Como-Chiasso, lasciate le banche e i caffè sul lago, la strada vecchia che si snoda tra i paesi del fondovalle in Ticino a volte corre accanto all’autostrada e ai binari dell’alta velocità che rapidi tagliano il paesaggio verso il San Gottardo. Oltre Bellinzona, la strada piega sulla destra per la Val di Blenio e incrocia il torrente Soja, che nel 1908 esonda distruggendo la Fabbrica di Cioccolato di Torre-Blenio, fondata cinque anni prima. Il complesso cioccolatiero Cima Norma verrà ricostruito e poi di nuovo distrutto da un incendio e ancora ricostruito, ma la vera distruzione sarà negli anni ’60, quando la concorrenza e dei contratti non rinnovati metteranno in ginocchio la fabbrica che chiuderà. Ultimato il San Gottardo e rientrati i lavoratori venuti da fuori, adesso lì non si ferma più nessuno. La valle si sta spegnendo. Il vecchio caffè Posta a pochi metri dal complesso ha cessato l’attività a maggio ringraziando con un cartello i clienti affezionati. Ora la nuova Fondazione «La fabbrica di Cioccolato» punta a far rivivere Cima Norma, con i suoi 5500 metri quadri di archeologia industriale, dove ospitare programmi culturali e artistici in collaborazione con il tessuto socio-economico locale per riattivare la valle.

Zanny Begg & Oliver Ressler, “The Right of Passage”, film, 19 min., 2013

Negli spazi della fabbrica fino al 14 settembre, l’artista austriaco Oliver Ressler presenta Confronting Comfort’s Continent, un progetto che oltre a Take the square, un’installazione video a tre canali sui movimenti come Occupy Wall Street, Syntagma ad Atene e 15M a Madrid, comprende una serie di light box e film, tra cui tre video girati nelle fabbriche di Roma, Milano e Salonicco.
«Le realtà che emergono in Occupy, Resist, Produce – spiega Ressler – rivelano diverse modalità di gestione orizzontale del lavoro, tra democrazia diretta, autogestione e significazione del lavoro, in dialogo con gli spazi di Cima Norma, svuotati dalla loro funzione originaria e poi riattivati dalla pratica artistica – spiega Ressler impegnato su temi politici con video, installazioni e interventi nello spazio pubblico – L’arte è un mezzo di consapevolezza politica molto potente: ci sono molte più istituzioni culturali che non praticano censura, di quanto facciano tanti giornali e i miei film fuori dal contesto artistico sono stati utilizzati da operai e organizzazioni sociali come base per studiare nuove soluzioni. Nessun modello fisso però, le persone devono essere libere di organizzare la propria conoscenza come meglio ritengono, per realizzare la loro idea di società».
Secondo questo metodo nel progetto Alternative economics, Alternative Societies per esempio Ressler ha lavorato su una serie di proposte su come riorganizzare il sistema, intervistando attivisti e intellettuali su temi come economia partecipativa o democrazia inclusiva e realizzando pubblicazioni e affissioni allestite in spazi pubblici come stazioni o zone pedonali. «Sono molto interessato alle reazioni delle persone che si trovano davanti ai miei lavori per strada e cerco anche di indagare i limiti di ciò che faccio: è difficile produrre un’opera che sia capace di comunicare con tutti, si esclude sempre qualcuno, per la lingua, la complessità del testo o altro».

La parola scritta o parlata domina la ricerca artistica di Ressler, che utilizza tecniche giornalistiche nei i suoi lavori, «ottenendo però risultati totalmente diversi rispetto a quelli del mondo dell’informazione, dove il consumo di contenuti è sempre più rapido e superficiale, voglio tempi di assimilazione più lunghi che l’arte permette. Una grande fonte d’ispirazione invece è stata Paper Tiger Tv, un collettivo di media attivisti newyorkesi che dagli anni ’80 cerca di contrastare i media dominanti con video a budget zero. Dalla prima guerra del Golfo in poi, la necessità di voci alternative è diventata estrema: le immagini fornite dall’esercito davano un’idea distorta di un conflitto senza vittime, che i media trasmettevano passivamente. Quando le ho viste mi sono chiesto cosa fosse davvero la guerra oltre quei video».
La gestione del consenso esercitata dai media istituzionali produce distorsioni profonde sulla percezione della realtà; un cambio di prospettiva è fondamentale per Ressler, che a luglio a Istanbul ha girato un film sull’Unione Europea vista attraverso le parole dei rifugiati siriani: «pur rifiutando la politica di Erdogan, queste persone sono più scettiche sull’UE di quanto non lo siano sulla Turchia; sono pochi i media che hanno raccontato come questo paese abbia accolto circa 3 milioni di persone in fuga dalla Siria, molte di più dell’intera Europa» che ne ha ospitate circa un terzo. Insieme a questa cifra anche il video di Ressler in mostra in Svizzera Emergency Turned Upside-Down, genera un aggiustamento di percezione: chi è in emergenza non siamo noi e intanto la vera emergenza, quella di una guerra da cui fuggire lasciandosi tutta una vita alle spalle, resta sullo sfondo.