«Il nemico del mio nemico è mio amico». È questo l’assunto da cui sono partiti i governi che hanno deciso in fretta e furia di puntare sulla consegna delle armi ai combattenti kurdi peshmerga per bloccare l’avanzata travolgente dei miliziani dello Stato islamico dell’Iraq e del Levante (Isil). Tuttavia, quanto questo approccio sia rischioso appare sempre più evidente, in particolare, quando al centro della disputa, ci sono i combattenti kurdi iracheni.

Da anni ormai i kurdi iracheni sono impegnati in una battaglia autonoma per l’indipendenza che non guarda in faccia a nessuno, siano i nemici sunniti o sciiti. In questo momento i peshmerga ritengono vantaggioso l’accordo con il governo sciita di Baghdad in funzione anti-Isil ma il loro vero obiettivo non è mai stata l’integrità dello stato iracheno. Lo scopo dei kurdi di Massud Barzani è sempre stata una dichiarazione di indipendenza del Kurdistan iracheno attraverso l’indizione di un referendum. Per questo il presente accordo con il governo sciita è momentaneo e strumentale al vero obiettivo dei kurdi iracheni: l’indipendenza. Non bisogna mai dimenticare poi che i kurdi sono sunniti, come i jihadisti combattenti dell’Isil. Non solo, poiché al fianco dei tagliateste radicali ci sono anche generali sunniti, fedeli all’ex presidente Saddam Hussein, non stupisce nessuno che anche alcuni tra i combattenti kurdi, forse un tempo cooptati nell’esercito regolare o nell’amministrazione pubblica da Hussein, per rivendica l’indipendenza, puntino sull’Isil piuttosto che sul governo sciita di Baghdad.

Che tanti kurdi, per perseguire il loro scopo, abbiano preferito i jihadisti dell’Isil, lo ha confermato ieri il quotidiano in arabo al Hayat. Il giornale ha citato Lahor Shaykh Jenki, direttore delle operazioni anti-terrorismo di Sulaymaniya, nel Kurdistan iracheno. Secondo lui, sono oltre 400 i giovani kurdi arruolatisi tra i jihadisti. Su questo, non ci sono numeri precisi ma il ministero degli Affari religiosi del Kurdistan iracheno ha riferito di decine di giovani kurdi arrestati, feriti o uccisi mentre combattevano nelle fila dell’Isil. La notizia è stata confermata anche da parlamentari della regione autonoma kurda in Iraq. Non solo, uno dei cinque leader dell’Isil a Mosul sarebbe kurdo. In alcuni video degli islamisti radicali poi, i miliziani col volto coperto parlano in kurdo per fare opera di proselitismo.
Del rischio che le armi occidentali, ancora una volta, arrivino nelle mani sbagliate, ne sono consapevoli le Nazioni Unite. L’Alto commissario Onu per i diritti umani, Navi Pillay ha esortato i governi «a cessare di alimentare questa monumentale catastrofe tramite la consegna di armi e altre forniture militari».

Che gli armamenti nelle mani dei kurdi possano essere un’arma a doppio taglio, usata in ultima istanza per affermare l’indipendenza kurda, lo sa bene anche il governo di Baghdad. E così l’esecutivo sciita starebbe rallentando e bloccando le forniture ai peshmerga che alcuni paesi stranieri hanno disposto. È quanto ha denunciato Rowsch Shaways, ex vice premier e oggi alla guida dell’offensiva dei combattenti kurdi per riconquistare Mosul. «Non abbiamo ricevuto armi dai nostri partner internazionali. È Baghdad la causa», ha detto Shaways.

Eppure sono in viaggio verso l’Iraq le armi di Italia, Germania, Francia e Usa. A chi arriveranno? È molto facile che nel caos iracheno finiscano nelle mani sbagliate, forse proprio dei kurdi che combattono al fianco dei jihadisti che questi armamenti vorrebbero sradicare. Oppure, se arrivassero nelle mani «giuste», potrebbero presto essere usate contro Baghdad dai kurdi anti-jihadisti. Vai a fidarti degli amici.