Si sono ritrovati in 400 ieri mattina davanti alla sede del governo per protestare contro l’assassinio dello scrittore Nahed Hattar compiuto domenica da un imam salafita. Proprio sotto le finestre dell’ufficio del primo ministro Hani al Mulki – (re)incaricato da re Abdallah dopo le elezioni del 20 settembre – che il mese scorso non aveva esitato ad appellarsi alla difesa della fede per condannare l’ateo Hattar, arrestato e rinviato a giudizio per avere condiviso il mese scorso su Facebook una illustrazione non contro l’Islam bensì contro l’Isis e l’uso che i jihadisti fanno della fede. Quella immagine, secondo la magistratura, era “blasfema”. I manifestanti hanno scandito a gran voce «socialismo, socialismo» per mettere in chiaro che non erano parte della borghesia vicina al regime e lontana dalla popolazione, che per comodità si appella al laicismo all’unico scopo di proteggere i suoi privilegi. «Siamo persone qualsiasi, gente comune, compagni non mobilitati da alcun partito – ci spiegava ieri in collegamento telefonico dalla manifestazione Raed Dabbagh, un ex attivista del PC giordano – vogliamo dire con estrema chiarezza che l’assassinio di Nahed (Attar) non è un solo un delitto compiuto da un fanatico religioso, un fatto isolato come afferma qualcuno, è anche se non soprattutto l’esito della politica delle autorità che da un lato reprimono e dell’altro flirtano con gli estremisti per garantirsi il controllo sociale». Nahel Hattar, ha aggiunto Dabbagh, «non era un cristiano come tanti si sono affrettati a sottolineare. Hattar era un ateo dichiarato, un intellettuale che nelle religioni e nelle divisioni tra le fedi leggeva il dominio di uomini su altri uomini».

Buona parte del dibattito invece si è incentrato sulle conseguenze che l’assassinio potrebbe avere nelle relazioni, che le autorità e diversi giornali descrivono come “eccellenti”, tra la maggioranza musulmana e la minoranza cristiana nel Paese che confina con le guerre in Siria e Iraq. «Nessuno sminuisce l’importanza dei rapporti tra musulmani e cristiani in Giordania dopo il brutale omicidio di Hattar – ci dice Daoud Kuttab corrispondente da Amman di al Monitor – ma conta anche la relazione tra il cittadino giordano, non importa la sua fede, e le idee diverse e la libertà di espressione in un Paese complesso come il nostro». Il Fronte d’azione islamico (Fia, Fratelli Musulmani), tornato nei giorni scorsi in Parlamento dopo un lungo boicottaggio delle elezioni, ha condannato l’assassinio dello scrittore e l’uso della violenza. Parole importanti. Tuttavia non pochi si domandano quale sia oggi l’influenza effettiva di quella che è ritenuta la principale forza islamista del Paese. «I Fratelli musulmani negli ultimi anni hanno subito duri colpi in Giordania (dove sono stati dichiarati fuorilegge, ndr), in Egitto e in altri Paesi della regione – ricorda Kuttab – e questo li fa apparire come dei perdenti agli occhi soprattutto dei giovani più religiosi che ora guardano all’Isis e alle altre formazioni radicali, salafite, come un esempio vincente da seguire. L’islamismo politico è in crisi». D’altronde parlano chiaro le reazioni alla notizia dell’assassinio di Hattar. Se radio, televisioni e giornali hanno dato ampio risalto alle condanne di molti giordani dell’accaduto, i social al contrario sono stati utilizzati da quelli che trovano una giustificazione alla violenza contro chi ha o avrebbe offeso l’Islam.

Ieri il ministero dell’interno, Salama Hammad, ha imposto il silenzio stampa ai tutti i mezzi d’informazione per, ha spiegato, «tutelare lo svolgimento delle indagini in corso», anche se l’assassino di Hattar, un imam di un quartiere povero di Amman Est, si è lasciato catturare subito dalla polizia e ha confessato di aver pianificato il delitto circa una settimana fa. Le autorità segnalano l’intenzione di fare luce su un omicidio forse organizzato da più persone e non solo dal killer. La famiglia di Hattar non ci crede e rifiuta ancora di seppellire lo scrittore in protesta contro governo e servizi di sicurezza che il mese scorso hanno attaccato Hattar esponendolo alla vendetta dei più fanatici.