Dopo l’apertura della nuova inchiesta dell’Fbi sulle mail di Clinton la bufera che si è alzata negli Stati uniti è la più polverosa degli ultimi mesi. Sul perché – con una prassi senza precedenti – i federali abbiano deciso a ridosso delle elezioni di aprire e rendere pubblica una pratica che ha contorni vaghi, si interrogano in molti e le teorie che ne scaturiscono sono più d’una.

La storia personale James Comey, poi, alimenta le principali teorie. Comey è da sempre di fede repubblicana, magistrato, ha lavorato con l’ex sindaco di New York Rudolph Giuliani, che è fra i principali sostenitori di Donald Trump; sotto Giuliani, Comey ha dato battaglia al clan mafioso dei Gambino e per due anni ha fatto parte della Mafia Commission. Non è questa la prima volta che si scontra con i Clinton, la prima volta è stata nel 1996, per lo scandalo Whitewater che ai tempi si sgonfiò senza adombrare l’immagine di Bill, allora presidente degli Stati uniti.

Sotto George W. Bush Comey è stato viceministro di giustizia, ha poi sostenuto economicamente le campagne degli ultimi due candidati repubblicani, John McCain e Mitt Romney, che si sono contrapposti a Obama. Quando – proprio Obama – nel 2013 lo ha nominato capo del Federal Bureau of Investigation, Comey si è dichiarato indipendente. Ai tempi era considerato abbastanza moderato, si era schierato a favore dei matrimoni fra persone dello stesso sesso, e la scelta di Obama fu apprezzata da molti. Oggi, invece, questa vicinanza alla cerchia più stretta dei sostenitori e collaboratori di Trump, lo pone come un sospetto di essere il braccio di Trump contro Clinton.

Questa teoria è alimentata anche dall’odio che scorre tra Trump e Loretta Lynch, a capo del dipartimento di giustizia, superiore di Comey e vicina ai Clinton, contro la quale – con questa mossa dell’emailgate – si è messo il direttore dell’Fbi. Non è il primo contrasto tra il dipartimento di Giustizia e Comey, come fanno notare tanto il Wall Street Journal quanto il New York Times, ma solo un altro esempio dei loro rapporti difficili.

Comey già altre volte non si era allineato alle posizioni di Washington, come quando, a seguito dei fatti di Ferguson, si distanziò da Obama sostenendo che le critiche del presidente avrebbero complicato il lavoro della polizia. All’inizio di questo nuovo emailgate, però, anche se il ministro di Giustizia Loretta Lynch ha espresso la propria preoccupazione per questa manovra, non ha potuto bloccarla. Ma da inizio campagna non tutti gli attori in gioco siedono sulle sedie del potere costituito; nel cerchio delle rivelazioni, Julian Assange continua ad essere nell’occhio del ciclone in un «tutti contro tutti» che coinvolge anche il mondo della contro-informazione digitale.

Mentre da WikiLeaks continuano ad arrivare a blocchi pacchi di rivelazioni dalle email di Podesta, via Twitter Assange negli ultimi giorni ha visto arrivare un attacco da parte di un account Twitter di Anonymous, che lo accusa di rilasciare strumentalmente i SyriaFiles, per dimostrare l’uso da parte di Assad di conti all’estero per investimenti immobiliari i Inghilterra. Ora, secondo Anonymous, Assange per ragioni personali starebbe prendendo crediti rilasciando una notizia contro la quale si era scagliato violentemente mesi fa, quando a renderla pubblica erano stati i PanamaPapers. Ai tempi, secondo Assange, dietro lo scandalo finanziario sui conti offshore e agli attacchi a Putin, ci sarebbero stati Usa e Soros, con lo scopo di screditare il Cremlino: ora questo problema non c’è più, fa notare Anonymous. «Per favore, non entriamo in una guerra intestina» chiedono i sostenitori di entrambi.