Non si attenua l’ondata di epurazioni che il governo turco ha messo in atto all’indomani del fallito golpe per sradicare da tutte le istituzioni dello Stato la tentacolare rete costruita nel corso degli ultimi trent’anni dal movimento Hizmet del predicatore e filosofo islamico Fethullah Gülen, ex alleato tra il 2007 e il 2013 del partito di governo Akp, che Erdogan considera ideatore e organizzatore dell’operazione militare sovversiva del 15 luglio scorso.

Le autorità turche hanno emesso 42 mandati d’arresto nei confronti di giornalisti. Nelle stesse ore, 31 professori universitari sono stati arrestati. Sono accusati di aver sostenuto la rete di Gülen.
Tra i giornalisti arrestati c’è Nazli Ilicak, 72 anni, firma di punta di molti quotidiani e commentatrice televisiva. Una repressione che ha portato in piazza, per la prima volta dalla notte del 15 luglio, tutta l’opposizione del paese.

Ieri l’opposizione laica e socialdemocratica del Partito repubblicano del popolo (Chp) ha organizzato un raduno nella storica Piazza Taksim di Istanbul, per protestare contro il tentato golpe e per «difendere la democrazia e la Repubblica», per la centralità del Parlamento e per il ripristino dello Stato di diritto. «La Turchia è un paese laico e lo sarà per sempre», questo lo slogan che si ascoltava nella piazza.

«La democrazia parlamentare è stata difesa nella notte del 15 luglio – ha detto nel suo breve comizio il leader del Chp, Kemal Kiliçdaroglu – mentre il Parlamento veniva bombardato. Le forze golpiste non avranno più possibilità di vita in questo paese. Adesso è arrivato il momento di rafforzare la nostra democrazia».

«La democrazia in Turchia si difende difendendo la libertà dei media – ha aggiunto Kiliçdaroglu – Questo è un paese che ha fame di democrazia. Lo Stato non può essere gestito con la vendetta, l’odio, la rabbia e il pregiudizio».

Kiliçdaroglu ha detto che la tortura, i maltrattamenti, le pressioni e le minacce nei confronti dei golpisti metterebbero lo Stato allo stesso loro livello. Il leader del Chp ha poi letto un manifesto in 10 punti che illustra un programma da portare avanti per aprire una nuova fase costituente, per una ripresa delle riforme. Una delegazione del partito di governo della Giustizia e dello Sviluppo, Akp, ha partecipato alla manifestazione. Nessuno striscione o bandiera di partito era presenti in piazza Taksim, ma solo la bandiera della Turchia e di Mustafa Kemal Atatürk, fondatore della Repubblica.

L’unico punto del manifesto, che condanna il golpe, che non appare in linea con l’Akp è la visione diversa sul modo di rafforzare la democrazia parlamentare, con i necessari pesi e contrappesi. La linea del presidente Erdogan è stata quella di sottolineare la necessità di un cambiamento costituzionale introducendo un sistema presidenziale con poteri esecutivi, abbandonando l’attuale sistema parlamentare, che il presidente ritiene essere la causa dei tanti problemi di sicurezza e instabilità che sta vivendo il paese.

È stato il primo ministro Binali Yildirim, piuttosto che Erdogan, a dichiarare dopo il tentativo di colpo di stato, che una volta che la Turchia avrà adottato il sistema presidenziale, i militari saranno direttamente subordinati al presidente.

Kiliçdaroglu, d’altra parte, ha detto che il paese è stato salvato dal Parlamento, dai partiti e dai media indipendenti tanto avversati da Erdogan. Tutti e quattro i partiti in parlamento hanno resistito contro la minaccia golpista mentre la Grande Assemblea Nazionale veniva bombardata dai jet sequestrati a membri dell’aviazione. Eppure ieri al meeting che il presidente ha avuto con i rappresentanti delle opposizioni mancava l’Hdp, il partito di sinistra pro-kurdo che Erdogan ha volutamente escluso.

Il presidente ora deve scegliere tra una delle due strade. La prima potrebbe essere quella di accelerare ulteriormente il passaggio ad un sistema presidenziale con potere esecutivo. Potrebbe decidere di approfittare della sua aumentata popolarità e del vasto consenso di cui gode tra la popolazione dopo il fallimento del tentativo di colpo di Stato.

Il clima politico attuale potrebbe permettergli di vincere un referendum per concentrare ulteriormente il potere nelle sue mani senza un necessario controllo democratico. Se dovesse scegliere questa strada sprecherebbe una grande opportunità: quella della riconciliazione tra le varie componenti del paese, un bene anche per l’economia che fa fatica a riprendersi dalla crisi.

La seconda strada richiederebbe una revisione degli obiettivi di Erdogan, rinunciando almeno momentaneamente al presidenzialismo e concentrando energie e impegno sulla riforma della prima parte della Costituzione: quella riguardante i diritti civili e le libertà fondamentali. E su ciò vi sarebbe sicuramente la disponibilità a svolgere un lavoro comune con i due partiti d’opposizione, il Partito repubblicano del popolo, socialdemocratico e il Partito democratico dei popoli, filo-kurdo e di sinistra libertaria.

Infatti la riconciliazione con l’opposizione, in particolare con il Chp, come principale rivale delle politiche conservatrici in Turchia, non sarebbe possibile se Erdogan e l’Akp continuassero ad insistere sul modello presidenziale con potere esecutivo, come proposto fino ad ora.