Il vertice di capi di Stato e di governo apertosi ieri pomeriggio e che si conclude oggi a Riga – principale argomento odierno dovrebbe essere la Grecia – è formalmente dedicato alla discussione dei rapporti economici e politici tra i 28 paesi Ue e i 6 del cosiddetto Partenariato orientale: Ucraina, Georgia, Moldavia, Armenia, Bielorussia e Azerbaigian.

Nella sostanza, la crisi ucraina e i rapporti con la Russia tengono banco. Sul secondo fronte, è noto che Armenia e Bielorussia si rifiuteranno di sottoscrivere la dichiarazione finale contenente la condanna di Mosca per «l’annessione della Crimea».

Ma il punto focale del vertice sembra riguardare l’Ucraina. Mercoledì scorso infatti, il Presidente del Consiglio di sicurezza e di difesa ucraino, Aleksandr Turcinov, aveva parlato di prossime consultazioni per il dislocamento su territorio ucraino del sistema di Scudo missilistico, volto a difendere l’Ucraina dalla «aggressione russa e contrapporsi al pazzo che minaccia la pace con un potente potenziale nucleare». Pur se il summit lettone appare dedicato per lo più ai rapporti economici, sembra evidente che un tale tema non possa venir ignorato.

Ad ogni modo, commentando a caldo le dichiarazioni di Turcinov, il portavoce di Vladimir Putin, Dmitrij Peskov aveva detto che un simile passo, se intrapreso, renderebbe necessaria una risposta adeguata di Mosca, per garantire la propria sicurezza. Peskov aveva però aggiunto che, a suo parere, si tratta di una «discussione eventuale».

In effetti, non si era fatta attendere nemmeno la risposta statunitense. Lo stesso 20 maggio, la portavoce del Dipartimento di Stato Usa, Marie Harf, dichiarava che «Né Usa, né Nato pianificano di dislocare sistemi missilistici su territorio ucraino», aggiungendo che tali sistemi «sono dislocati e possono essere dislocati solo in Paesi membri dell’Alleanza».

Harf, secondo l’agenzia Lenta.ru, aveva tenuto anche a sottolineare che lo scudo missilistico «non è diretto contro la Russia», ma è volto a respingere le minacce che vengono dal Medio Oriente. Alle domande dell’agenzia Rbk riguardo le dichiarazioni di Turcinov, anche alla Nato avevano risposto «Per ogni commento sulla questione rivolgetevi alla parte ucraina». Turcinov aveva motivato tali piani con il dislocamento «di bombardieri strategici e armi nucleari russe in Crimea, dirette in primo luogo contro i Paesi europei» e la Turchia. Ancora una volta, da occidente, nel corso del vertice dei capi di Stato maggiore della Nato, tenutasi ieri a Bruxelles, il comandante delle forze Nato in Europa, generale Usa Philip Breedlove, ha dichiarato che «Non abbiamo visto indicatori diretti di un qualsiasi dislocamento di armi nucleari» da parte della Russia; dunque «Non c’è la necessità di modificare la nostra strategia nucleare». Breedlove ha tuttavia detto che è invece allo studio la richiesta dei Paesi baltici per un rafforzamento della presenza Nato nella regione.

La questione del dislocamento in Ucraina dello scudo missilistico, sembra dunque fare il paio con quella della futura abolizione del regime dei visti. Tutte le indicazioni vanno nella direzione di un «raffreddamento» delle aspettative ucraine da parte della Ue.

Anche a Riga non è dato attendere novità di rilievo rispetto al rapporto pubblicato lo scorso 11 maggio dalla Commissione europea, secondo cui né Georgia, né Ucraina sono «pronte per la liberalizzazione del regime del visto».

Pare dunque che a Poroshenko il quale, nel 2014, aveva dichiarato «Dal 1 gennaio 2015 tutti gli ucraini avranno diritto a viaggiare senza visto nell’Unione europea» non rimanga altro che «il diritto di sognare. Sognare l’Europa», come ha detto il presidente del Consiglio d’Europa Donald Tusk.

Chissà se al vertice del Partenariato orientale qualcuno solleverà invece la questione della risoluzione adottata ieri dalla Rada ucraina sull’abbandono da parte di Kiev, nel Donbass, degli impegni dati dalla Convenzione sui diritti dell’uomo.
Il Presidente della commissione esteri della Duma russa, Aleksej Pushkov, ha detto che «Quando un paese si lascia le mani libere, è semplicemente il riconoscimento del carattere criminale di quello stato».