L’inventore della «democrazia illiberale», Victor Orban, gradito ospite nel Libero Stato di Baviera accusa la Germania di esercitare un «imperialismo morale». La tribuna che gli è stata offerta per il suo affondo contro la politica migratoria di Berlino è il conclave dell’Unione cristiano sociale (Csu), fratello bavarese della Cdu guidata da Angela Merkel. E’ da tempo che nella Csu montava il malumore contro un presunto sbilanciamento a sinistra della Cancelliera, acuito dalla crisi dei migranti. E’ in questo clima che matura la provocazione dell’invito rivolto al discusso leader ungherese. Mentre il governo federale si batte in Europa per imporre il principio delle quote obbligatorie nell’accoglienza dei rifugiati, la Baviera ascolta, annuendo, quello che ne è stato il più deciso avversario, anche se oggi persegue altre e più ambiziose strategie di chiusura.

Ce n’è abbastanza perché dalla Spd, a diversi livelli, federali e regionali, si levi una indignata protesta per la «pugnalata alle spalle» sferrata dal leader della Csu Horst Seehofer. Quest’ultimo accredita a Victor Orban la difesa delle regole europee (i trattati di Dublino e Schengen) che la svolta di Angela Merkel avrebbe rimesso in questione e manifesta la volontà della Baviera di allinearsi a questa politica. Tanto da lasciar intendere che se il vertice di Bruxelles e l’incontro di oggi tra il governo federale e i Laender dovessero concludersi con un nulla di fatto, la Baviera potrebbe esercitare in proprio la sua fedeltà alle regole europee e magari bloccare l’accoglienza dei migranti. «Una decisione tedesca – dichiara Seehofer – ha sospeso le norme esistenti in Europa».

Così il governo di Berlino si ritrova paradossalmente accusato di antieuropeismo mentre quello stesso Orban che aspira a reintrodurre la pena di morte e tacita senza tanti complimenti le voci di opposizione, si propone come intransigente difensore del diritto europeo. Naturalmente con il suo stile e i suoi criteri. Si tratta insomma, per l’uomo forte di Budapest, di fortificare tutte le frontiere esterne dell’Unione, sul modello dei suoi muri di confine, e i paesi che non ne sarebbero capaci, come per esempio la Grecia, dovrebbero gentilmente invitare altre forze europee a presidiare i propri confini. L’Ungheria sarebbe la prima a rispondere all’appello. A questo si aggiunge la solita richiesta di selezionare profughi e migranti prima che giungano ai confini dell’Ue, nonché la barzelletta fantapolitica delle «quote mondiali». Forse Horst Seehofer non punta tanto allo scontro finale con Merkel, ma fa la voce grossa per meglio giocare sul tavolo in cui si deciderà la ripartizione delle risorse destinate all’accoglienza, ma certo il credito e la visibilità offerti al meno democratico governante dell’Unione è una mossa pesante. Militanti della Spd, della Linke, dei Verdi hanno contestato Orban e il Comitato Internazionale dei sopravvissuti di Auschwitz ha protestato per l’ascolto concesso a un politico in odore di antisemitismo.

L’attacco contro la politica di accoglienza di Berlino arriva anche dal parlamento europeo da dove il capogruppo del Ppe Manfred Weber (anch’egli della Csu) invita a sua volta alla intransigente difesa dei trattati e delle frontiere, se necessario con gli stessi sistemi di Orban.
Da tutta questa vicenda emerge una indicazione inquietante. La critica dell’egemonia germanica sulle politiche dell’Unione, che nel corso della crisi greca aveva avuto una provenienza da sinistra, senza mai rinunciare, però, a una impostazione decisamente europeista, ora incombe da destra con una tonalità inequivocabilmente nazionalista, laddove la difesa dei trattati è del tutto strumentale a quella delle sovranità nazionali. Il “democratico illiberale” lo dice, come è solito, nella maniera più schietta: «Siamo ungheresi e non possiamo che pensare con teste ungheresi».