Va da sé, per il presidente del Pd Matteo Orfini il governo «ha fatto molte buone cose» e i dati sull’occupazione resi noti ieri dall’Inps «con la trasformazione di oltre 200mila contratti da precari in stabili dimostrano che abbiamo fatto bene a fare la tanto discussa riforma del jobs act».

Quei contratti sono in buona parte frutto degli incentivi fiscali.

Che era un combinato disposto con il jobs act, il che significa che oltre 200mila persone hanno maternità e malattia. Ora però il tema è come diamo una risposta a una parte della società che si sente abbandonata dalla politica e che ha bisogno di segnali immediati. Dobbiamo dare un cuore sociale all’azione di governo, dobbiamo intervenire su alcuni diritti costituzionali negati. Primo, il diritto al lavoro: a fianco di quanto già fatto serve una politica industriale nella legge di stabilità. Una parte delle risorse debbono essere destinate a un pacchetto di investimenti su cultura, ricerca, la tutela ambientale. Secondo, il diritto alla casa, tema sempre troppo sottovalutato. Va subito abrogato dell’art.5 della legge Lupi, quello che nega il diritto alla residenza a chi occupa per ragioni di necessità, perché nega l’allaccio della luce e l’assistenza per i bambini, e cioè diritti essenziali. Una cosa disumana, incredibile che sia stata fatta da un ministro cattolico.

Il ministro era cattolico, ma a Palazzo Chigi c’era un democratico e vostri sono i voti con cui avete approvato la legge.

Non c’è dubbio, e infatti fu oggetto di grande dialettica nella maggioranza. Noi provammo a correggerlo, Lupi forzò e vinse. Oggi però gli effetti concreti della legge dimostrano che è una norma incivile. Cancellarla non significa legalizzare le occupazioni ma ripristinare condizioni di civiltà. Poi ragioniamo su come riprendere una politica per la casa, favorendo e politiche dell’housing sociale e di edilizia pubblica dove serve, non cubature a caso. Terzo tema, la povertà. Sono contrario al reddito di cittadinanza che propone Grillo perché noi dobbiamo distribuire lavoro. Cosa diversa è una misura universale di contrasto alla povertà. Nei periodi in cui ci si trova in difficoltà bisogna avere un sostegno a una vita dignitosa. Vale per i giovani che non trovano lavoro ma anche per chi ha 50 anni e lo perde. Due anni fa facemmo una sperimentazione, con risorse molto limitate. Valutiamola e ragioniamo se estenderla o trovare un altro strumento.

Don Ciotti, con molte associazioni, conduce da tempo una campagna sul reddito di dignità. Ma del Pd ha aderito solo la sinistra di Speranza e Bersani.

Ho fatto l’esempio della sperimentazione. Alcuni di noi non producono interviste ma atti normativi, anche nelle condizioni difficili dell’allora governo Letta. È stata una piccola cosa, ma un parlamentare è utile non se firma appelli ma se produce norme.

Dipende se le norme sono buone. La legge Lupi non lo era e ora proponete di cancellarla. Non era meglio non votarla?

Non c’è dubbio. A suo tempo abbiamo fatto una battaglia e l’abbiamo persa. Oggi Lupi non fa più il ministro, al suo posto c’è un ministro più attento ai temi sociali e la questione si può riaprire. Siamo in un governo di coalizione, alcuni provvedimenti vanno in direzione diversa da quella auspicata da noi. Oggi però Merola, sindaco di Bologna viene indagato perché si rifiuta di applicare quella norma. I sindaci ci dicono che va cambiata. Lo dico all’Ncd: è una misura eticamente intollerabile, nulla ha a che vedere con i principi di civiltà, non diventi questione ideologica.

Chiedere «un cuore sociale» per il governo non dà ragione a chi, come D’Alema e come tutta la minoranza Pd, sostiene che è in corso una scissione silenziosa del popolo Pd?

No, il 25 per cento di Bersani era costituito da chi non aveva problemi a arrivare a fine mese, lo dicevano gli studi del Mulino. I giovani precari disoccupati hanno cominciato a votarci alle europee del 2014.

Ma alle successive elezioni le cose non sono più andate così.

Infatti dobbiamo consolidare quel rapporto con il disagio sociale. Si vince con quel bacino elettorale e comunque è quello per cui la sinistra esiste. Noi in questi anni abbiamo rappresentato una parte importante del paese ma non sempre quella per cui siamo nati. Se i ceti popolari non ci votavano quando ci sentivamo molto di sinistra vuol dire che non ci percepivano utili.

Intanto prima della legge di stabilità dovete affrontare la riforma del senato. Lei propone il dialogo con la minoranza che chiede che resti l’elezione diretta dei senatori?

Abbiamo dialogato per un anno, abbiamo modificato legge elettorale e riforma costituzionale. Il ministro Martina ha fatto una proposta ragionevole (un listino con una quota di candidati al consiglio regionale da indicare preventivamente per il Senato, ndr) che è stata rifiutata subito. Non siamo più alla discussione di merito ma a un tentativo di azzerare le riforme.

Ma perché? L’articolo 2 comunque dovrà essere ritoccato. E a tratti Renzi ha fatto filtrare che di eleggibilità diretta dei senatori si poteva discutere.

Non nelle sedi politiche. Spero che si possa trovare un accordo. Dopodiché il testo passato per due letture con un consenso largo e ora un pezzo minoritario del Pd chiede di smontarlo.

I senatori in dissenso sono trenta. Chiederete i voti al centrodestra?

Sulle riforme si cerca un consenso in parlamento più largo possibile. Nel Pd c’è chi invoca il diritto a votare in dissenso sui temi costituzionali e nessuno lo ha mai negato.

Ma così non cambia la natura della maggioranza?

No. Chi è in maggioranza resterà in maggioranza e chi è all’opposizione ci resterà per diversi anni.

Lei è commissario del Pd di Roma. Renzi ha cambiato idea? Marino resta sindaco di Roma?

Renzi ha sempre detto che serviva un salto di qualità. Noi abbiamo fatto partire una nuova fase, dato una squadra autorevole al sindaco che ora può aprire una nuova fase. Il governo ha annunciato che il 27 agosto varerà il pacchetto di provvedimenti che Roma chiede per il Giubileo.

Sono molti. Ormai, per le note vicende, non si è accumulato troppo ritardo?

Sarà una corsa ma, con il sostegno che il governo ha garantito, l’amministrazione sarà in grado di arrivare pronta al Giubileo. E di restituire a Roma il ruolo che merita.