«Chi parla adesso di primarie forse non parla di Roma. Ci sono le primarie a Potenza? Non mi risulta». Matteo Orfini replica ruvidissimo al potentino Roberto Speranza, golden boy della minoranza bersaniana. Che nel pomeriggio di ieri attaccava alzo zero Renzi: «A Roma le primarie saranno inevitabili per provare a ricostruire. Non possono bastare decisioni calate dall’alto».

Oggetto della polemica: sulla stampa di ieri alcuni retroscena riferivano di un Renzi furibondo per il pasticciaccio capitolino, pronto a cancellare le primarie. «Il candidato di Roma lo scelgo io», è la frase riportata. Nel Pd romano, commissariato e in travagliata attesa di congresso, l’effetto è una detonazione.

Infatti la smentita di Palazzo Chigi arriva di buon mattino. Ma non convince. Del resto quello stesso concetto Renzi l’ha già formulato all’ultima riunione di direzione. In quel caso ce l’aveva con il Pd milanese ’reo’ di aver già deciso la data delle primarie per il dopo-Pisapia (saranno il 7 febbraio, sempreché si facciano). Se nel Pd milanese regna l’incertezza, a Roma scoppia il caso.

Dopo Speranza interviene il coro dell’armata rossa, la minoranza Pd. A difesa delle primarie scende in campo perfino Romano Prodi, il padre di tutti i gazebo italiani: «Non chiedete a me perché io sono l’uomo delle primarie».

Orfini dunque stavolta perde la pazienza. Nel pomeriggio il commissario di Roma è salito a Palazzo Chigi dove è stato convocato con l’assessore Alfonso Sabella, fino a ieri assessore alla legalità. Oggetto della discussione, giura, non sono le primarie. «Questa polemica oggi è semplicemente lunare, fatta da chi usa Roma per i propri posizionamenti politici». Ce l’ha con Speranza, appunto: «Fin qui non ha speso una parola per questa città. Ora scopro che improvvisamente se ne interessa».

Il post Marino non è neanche iniziato – il sindaco non ha rassegnato formalmente le dimissioni, lo farà solo lunedì – e il Pd è già nel marasma. Per Orfini l’emergenza è condurre in acque più sicure la Roma giubilare e i suoi cantieri pericolosamente in ritardo. Per questo il vertice di ieri: «Abbiamo discusso di cosa serve adesso per cambiare le cose a Roma un modo chiaro e percepibile. Il modello sarà l’Expo».

Né Renzi né lui per ora pensano alle primarie: venti giorni dopo le dimissioni del sindaco, i primi di novembre, sarà nominato il commissario della Capitale, per legge un prefetto o un magistrato. Il nome ancora non c’è. Ma non potrà essere il prefetto di Roma Gabrielli – è lui a nominare il collega – né il presidente dell’anticorruzione Cantone «che ha altro da fare».

La scelta potrebbe cadere proprio su Sabella.

Quello che, secondo Orfini, in giunta ha fatto la differenza: «Basta ricordare come è andata a Ostia». Comunque Marino «è una storia chiusa. E per di più sta tenendo un atteggiamento ingiustificabile. Sulla vicenda degli scontrini non può rispondere ’non mi ricordo’. Non può dire ’se me ne vado tornano gli interessi illeciti’. Voglio ricordare che la città ha avuto una svolta da quando siamo arrivati noi: lui non sapeva neanche che erano anni che non si faceva la manutenzione della metro».

Ma la questione delle primarie agita anche l’ala sinistra della ex coalizione. Sel chiede a Marino di tornare in consiglio comunale, dopo aver disertato la riunione di ieri. «Spieghi le sue ragioni e le sue eventuali proposte. Lo ascolteremo con attenzione e valuteremo se ci sono le condizioni per andare avanti. Spieghi, se può, perché ha mentito e perché ha tradito il mandato dei cittadini imprimendo una svolta renziana alla politica della città e allontanandosi dal programma del 2013», dice il capogruppo Gianluca Peciola.

Ma che Marino vada avanti è impossibile. E l’esponente di Sel in realtà parla a Marino perché il Pd intenda.

Il tema delle primarie è spalancato anche a sinistra. Ed è un problema gigantesco per la ’cosa rossa’.

Presto il partito di Vendola si troverà a decidere se partecipare ancora alla coalizione o dare vita a un soggetto alternativo al Pd come già chiedono Civati e Fassina. Un interrogativo che riguarda molte delle altre città che voteranno a primavera: Milano, Bologna, Cagliari.

A meno che Renzi davvero non «decida lui». Abolendo di fatto le primarie.