>Il filo diretto tra le culture del vicino oriente spezzato nei secoli passati con l’arrivo dei Normanni si rinnova spesso negli eventi culturali che hanno luogo in Salento, dagli spettacoli del cartellone teatrale di Koreja, al Festival del cinema europeo, al Forum delle coproduzioni, al Cinema del reale.
L’Otranto Film Fund Festival appena concluso, diretto con straordinaria ricchezza di contenuti da Luciano Schito nella magnifica location del castello aragonese ha compiuto in questo senso un passo in avanti concreto: oltre al programma di film greci, croati, albanesi e italiani prodotti dai fondi, incontri e lezioni di cinema, momento cruciale sabato 17 settembre è stato, dopo tre giorni di incontri, la firma di un protocollo d’intesa per la creazione di un Network dell’audiovisivo dell’Adriatico: i partner non sono nazioni, ma enti pubblici e no profit appartenenti alla macroregione adriatico-ionica che lavoreranno su comuni progetti cinematografici: Apulia Film Commission, Friuli Venezia Giulia, Emilia Romagna, Slovenia, Serbia, Sarajevo, Albania, Grecia con i loro centri del cinema, università, istituti e Film Commission.
Accordi simili sono già operanti per il teatro, per sei musei dell’Adriatico riuniti al Pascali ed ora, con questo accordo si potanno fare accordi tra cinematografie già attive sul territorio e che hanno avuto a volte rapporti di collaborazione. Si tratta non solo di produrre, am anche di far circolare i film di questa area, promuovere le nuove tecnologie, attivare i worshop di scrittura.
Ci sono culture adiacenti che non hanno mai avuto progetti comuni e la cosa non sembrerà così strana, vista la guerra recente che ha lasciato tracce e tensioni che solo gli scambi culturali, la reciproca frequentazione possono appianare. Mentre per il Friuli è stato naturale sviluppare rapporti con Slovenia e Croazia, tra Montenegro e Albania non esistono rapporti simili a quelli tra Puglia e Albania (La nave dolce di Daniele Vicari nacque in questo contesto). Con fantasia da argonauta Paolo Vitali (Fondo audiovisivo Friuli Venezia Giulia) ha evocato una nave appoggio, un centro audiovisivo marittimo. «L’audiovisivo ha sempre trainato la modernità, la Film Commission ha sempre puntato su innovazione tecnologica e coesione sociale» ha detto Maurizio Sciarra presidente dell’Apulia Film Commission che attraverso i festival organizzati sul territorio crea una comunità che potrebbe diventare ancora più allargata.

L’ottava edizione di OFFF – Otranto film fund festival organizzata dal Comune di Otranto con la Fondazione Apulia Film Commission e l’Istituto di Culture Mediterranee e diretta da Luciano Schito si è concluso con l’assegnazione dei seguenti premi: «Sole alto» di Dalibor Matanic (Croazia, Slovenia, Serbia, 2015) premio della giuria, presieduta da Stefania Rocca e composta da Alessandra Acciai, Luca Lionello, Giorgio Magliulo, Edoardo Winspeare. La giuria dei critici (Luigi Abiusi, Luca Bandirali, Massimo Causo, Anton Giulio Mancino) ha assegnato il premio della critica a «Krom» (Albania, 2015) di Bujar Alimani. Il premio Unisalento è stato assegnato dagli studenti di cinema, tv e scienza delle comunicazioni dell’Università del Salento coordinata da Luca Bandirali a «Smac» (Grecia, 2015) di Elias Demetriou. Un premio speciale delle giurie a «Non essere cattivo» di Claudio Caligari

INTERVISTA A DIMITRIS YATZOUZAKIS
Ha studiato arte a Venezia, ha frequentato i corsi di Giani Amelio al Centro Sperimentale e del regista greco Dimitris Yatzouzakis, almeno due film sono stati visti in Italia, anzi premiati con la Rosa camuna d’oro al Berganmo Film meeting: La torta di San Fanurio nel ’92, la torta votiva della religione ortodossa che invita il santo a far ritrovare le cose perdute e Mi mou aptou (1997, Non mi toccare), la stravagante «missione» di un uomo che palpeggia le donne sugli autobus, «una sorta di dongiovanni popolare» come lo definisce il suo autore.
Intanto gli chiediamo cosa pensa del fatto che il cinema greco in una situazione di piena crisi economica offra oggi film tanto sofisticati e di successo: «in tempo di crisi, dice, quando si devono affrontare situazioni difficili si sveglia la coscienza degli artisti. L’altro motivo del successo è che si attira l’interesse internazionale, la curiosità di vedere come reagisce un paese in crisi». L’occasione dell’incontro è la sua partecipazione come direttore del Mediterranean Film Institute all’Otranto Film Found come una delle componenti del protocollo appena firmato per unire le iniziative cinematografiche di alcune regioni ionico adriatiche.
Di cosa si occupa il Mediterranean Film Institute?
È un istituto nato nel 1998 allo scopo di organizzare laboratori di scrittura per sceneggiatori e registi professionisti. A un certo punto avevo un’idea che non riuscivo a mettere sulla carta. Scrivevo pagine e pagine. La sceneggiatura è un linguaggio limitato, tecnico. Se non viene girata non vale niente, va completata da chi l’ha scritta. Il laboratorio è stato fondato da George Kalogeropulos che ha studiato alla Columbia University ed ha avuto l’idea di invitare due professori, Lewis Cole e Nick Progeris e organizzare un workshop. Rispetto al cinema europeo che si faceva negli anni ’50 c’era una grande differenza rispetto alla loro tecnica. Sono infine riuscito a scrivere quello che volevo con lo sceneggiatore Panayotopulos e siamo stati chiamati come assistenti professori. Negli anni ’90 la svolta del cinema greco mirava a una conseguenzialità narrativa che era stata abbandonata, in cui i caratteri dei personaggi fossero agganciati organicamente alla trama, una cosa che non interessava l’avanguardia. Del resto neanche il cinema italiano negli anni ’70-80 era interessato ad Aristotele, sono stati gli americani a riportarlo in voga. Da parte loro anche i due americani erano stanchi degli intrecci che i loro studenti costruivano basandosi solo sul ricavo economico, erano affascinati dalle nostre idee così individuali, originali, hanno amalgamato i valori narrativi classici con la voglia artistica che c’è in Europa di combattere questi limiti.
Quali sono i professionisti che accedono al workshop?
Abbiamo tudenti da tutta Europa, ora che è cambiata la legge Media permette che il 15% di partecipanti possa essere di altri paesi: arrivano registi professionisti da vari paesi del Mediterraneo e sono paesi con storie incredibili, molti vengono dal Medio Oriente, dalla Turchia. Spesso hanno una libertà limitata nel loro paese, dove hanno un ruolo da intellettuale critico. Selezioniamo 25 progetti all’anno e sono accompagnati dal regista, dal produttore e dallo sceneggiatore. La tendenza è aiutare la realizzazione del film. Va in porto il 20% dei progetti che è una buona percentuale e in ogni caso i partecipanti escono con una nuova forma mentale, imparano come funziona l’industria, dispongono di contatti con persone che hanno ruoli significativi. Ci sono professori come Jan Fleisher che ora ha 75 anni e viene dalla Famu di Praga dove ha studiato dal ’64 al ’71 e ha avuto Kundera come professore (e ha scritto famosi film per Juraj Herz e Dusan Tranczik ndr) o Pavel Jech, nato in Cecoslovacchia, poi cresciuto negli Usa dove i genitori erano emigrati ed ora è preside della Famu. Si tratta di una dialettica tra Usa ed Europa. Noi siamo la seconda generazione di insegnanti: Giovanni Robbiano dall’Italia, Cristina Lazarides dalla Columbia, Simon de Santiago produttore spagnolo che ha fatto Agora di Amenabar, Isabelle Fauvel, francese.
Come sono organizzati i corsi?
Durano sei mesi si tengono a Nisiros che è una piccola isola, un vulcano sotto Kos nel sud del Dodecanneso. Dopo 12 giorni c’è un incontro web, dove facciamo l’elaborazione del materiale via skype. I partecipanti sono divisi in gruppi e tutti collaborano al lavoro degli altri. All’inizio non è facile, ma ormai i giovani sono abituati a essere costantemente connessi. È un programma di lavoro molto duro, in seguito c’è un altro appuntamento all’isola di Samo.