«Italia- notiamo che dalla dichiarazione di novembre scorso sono state prese misure che aumentano il deficit di bilancio, e c’è un rischio di una deviazione significativa dal percorso di aggiustamento richiesto verso l’Obiettivo di Medio Termine».

Così il cosiddetto Eurogruppo. Da qualche tempo a questa parte l’approvazione del bilancio dello Stato è diventato una questione più che complessa, opaca agli occhi del cittadino comune. Che si trova nella posizione del marinaio in un mare di nebbia, dalla quale emergono all’improvviso scogli inaspettati come dal nulla. Mentre solo pochi anni fa (fino a tutta l’era Berlusconi, grosso modo) la finanziaria – ora «legge di stabilità» – veniva sostanzialmente palleggiata fra governo, maggioranza e opposizione (ovviamente coi primi due che dettavano legge…), adesso ogni tanto spunta la notizia di qualche soggetto saldamente determinato a mettere bocca in merito, per motivi non troppo chiari. L’Eurogruppo? Dijsselbloem? Moscovici?

Cronaca degli scorsi giorni: l’Eurogruppo si è riunito il 7 marzo. Fra le diversi questioni affrontate, si è parlato dei bilanci degli Stati dell’eurozona; di qui la dichiarazione citata sopra. Il giorno dopo, 8 marzo, giunge la notizia che la Commissione invierà una lettera all’Italia sempre in merito alle deviazioni dagli obietivi di bilancio concordati; in essa il vicepresidente dell’istituzione Dombrovskis e il commissario Moscovici scrivono che sarà «importante per l’Italia assicurare che le misure necessarie per rispettare il percorso di aggiustamento raccomandato per raggiungere l’obiettivo di medio termine (il pareggio di bilancio, ndr) vengano annunciate e dettagliate in modo credibile entro il 15 aprile».

Poco tempo prima, il 26 febbraio, era uscito il rapporto della Commissione sulla finanza pubblica del nostro paese: una articolata relazione di un centinaio di pagine.
L’Italia non è un «sorvegliato speciale» sul piano della finanza pubblica. Gli ultimi anni hanno visto una crescente articolazione di procedure di controllo sulle finanze di tutti i paesi membri dell’Unione europea, segnatamente quelli dell’eurozona. È quella che viene chiamata nuova governance economica europea.

La soporifera complessità dell’argomento sfida la pazienza del cittadino comune, ma il nocciolo della questione risiede nell’impegno a coordinare le economie degli Stati membri in alcuni loro parametri: come in una corsa di gruppo per rimanere uniti chi arranca va stimolato, chi corre troppo va rallentato. Sempre che il ritmo di gruppo non lo dia chi corre di più… Si tratta dei famosi parametri di Maastricht stabiliti negli anni Novanta: debito pubblico non più alto del 60% rispetto al Pil, disavanzo pubblico (cioè uscite superiori alle entrate dello Stato) inferiore al 3%. Gli obiettivi sono la stabilità dei prezzi e dei tassi d’interesse, elementi necessari per permettere all’euro di essere una valuta adeguata al processo di accumulazione finanziaria. La crisi del debito sovrano negli ultimi anni ha portato ad una rigidità molto forte nel rispetto di tali parametri, con una proliferazione di procedure di verifica, sorveglianza, e potenzialmente sanzioni (si pensi al Fiscal Compact), tanto più intensa quanto procede l’evidente disgregazione dell’Ue. Che oramai assomiglia ad un condominio in cui nessuno si fida più di nessuno e un pacifico accordo su azioni comuni è sostituito da una occhiuta sorveglianza reciproca e mutua ostilità. Ecco quindi che le istituzioni europee – eurogruppo, Commissione, Consiglio – che ovviamente non sono che maschere dietro le quali agiscono gli Stati stessi, diventano i protagonisti di queste nuove procedure di sorveglianza: danno pagelle, ammonimenti, lettere, ed eventualmente sanzioni. A questo giro Renzi ha evitato il votaccio ma la Commissione chiedere di fare i compiti a casa, e presto: entro il 15 aprile bisogna dare delucidazioni. Ne riparleremo.